
Ne usciremo più uniti? Sicuramente più poveri.
“Ne usciremo più uniti”.
Quante volte abbiamo sentito queste parole, tipicamente in discorsi retorici e vuoti di significato, e quante volte hanno tentato di convincerci che questo disastro di virus, dopotutto, avrebbe “purificato” la nostra società.
Da libertario un po’ conservatore e po’ anarchico però mi sono sempre chiesto: “è un bene essere uniti? È davvero desiderabile che questa emergenza appiattisca le nostre differenze?”.
Se c’è qualcosa di cui un liberale (e libertario) non deve avere paura sono proprio le differenze e le disuguaglianze: significano libertà, ricchezza sociale e culturale, ampiezza di visione e meritocrazia, con buona pace di chi (da sinistra) ci ha raccontato che il nemico non è la povertà ma la disuguaglianza, di chi ci ha detto che non è brutto avere poco ma avere meno di altri, di chi ha alimentato l’invidia facendone il proprio manifesto politico.
Ne usciremo davvero più “uniti”? Sicuramente, perché ne usciremo più poveri: chi non ha niente da perdere niente perderà, mentre chi ha una attività, chi deve portarsi a casa la pagnotta giorno dopo giorno, chi ha sudato e lavorato una vita per mettere da parte qualcosa rischia ogni giorno di avvicinarsi sempre più al fondo della nostra società.
Vorrei richiamare una cosa importante però: se l’operazione riesce Conte potrebbe essere veramente colui che porta a termine quel processo di unità nazionale iniziato con il Risorgimento, impoverendo il Nord e appiattendolo ai livelli del Sud una volta per tutte.
È un tentativo abbastanza subdolo, forse non perseguito direttamente ma che negli effetti potrebbe dimostrarsi stupefacente: mettere la Lombardia in zona rossa e paralizzarne la vita produttiva vuol dire bloccare il motore economico del Paese, e accanirsi sul nord e su qualsiasi forma di autonomia regionale mostra una mentalità molto lontana da quella di una democrazia liberale moderna.
L’autonomia regionale, come diceva Gianfranco Miglio, è una falsa questione: il vero cambiamento si chiamerebbe federalismo, ossia un sistema in cui sono piccole entità territoriali a scegliere di dare parte della propria sovranità allo Stato centrale, e non lo Stato centrale, come nel caso appunto dell’autonomia, a dare loro competenze. Al di là di queste finezze dell’arte politica da un punto di vista libertario è importante riconoscere l’importanza di un decentramento a tutti i livelli, perché solo rimpicciolendo lo Stato possiamo aspettarci che questo faccia passi indietro e resti in confini ben delimitati. L’operazione del governo giallorosso, che già da febbraio-marzo mette in circolo idee di accentramento della Sanità e revisione del Titolo V, è chiaramente una operazione centralista: nessuno qui difende il Titolo V riformato dalla sinistra o i modelli delle Sanità regionali, tuttavia se queste realtà piene di difetti devono essere sostituite da qualcosa è preferibile che all’orizzonte ci sia un federalismo serio a un centralismo inefficiente.
Le operazioni di chiusura da parte del governo rosso-rosso (il giallo, colore dei libertari, lasciamolo pure fuori) stanno soffocando le regioni virtuose del Paese, e invece di creare le condizioni per cui un Sud libero possa produrre e avvicinarsi ai livelli del Nord si fa l’esatto opposto: abbassare, livellare, aggiungerei quindi soffocare.
L’Italia che delle sue diversità interne dovrebbe fare tesoro lavora ossessivamente per appiattirle e dimenticarle, dimenticandosi che se nessuno lavora più per mandare avanti la baracca questa a un certo punto ci crollerà sulla testa.
The Italian Conservative
by Giordano Felici
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