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Autocertificazioni

Se si torna con la memoria al marzo scorso, al primo decreto Conte, si rileva un momento particolare molto importante per l’analisi libertaria. Con un’ordinanza il governo ha ha chiuso tutti i luoghi di incontro e vietato tutti i movimenti non necessari. Come classificare come necessario l’uscire di casa e il movimento per strada? non sapendo come altro fare, decide di lasciare ciascuno libero di dichiarare la propria necessità con un’autocertificazione.
Allora, in Cina confinano d’autorità milioni di persone, pena un colpo alla nuca per chi esce di casa senza permesso., in Corea seguono i movimenti tramite telecamere e cellulari e carte di credito e quando trovano l’infetto interviene la polizia a sterilizzare i luoghi che ha toccato e internare tutti i contatti avvenuti nei 14 giorni precedenti.
Da noi, non sapendo come classificare come necessario l’uscire di casa e il movimento per strada, si ricorre all’autocertificazione.
Le autocertificazioni hanno fatto la loro comparsa in diversi stati democratici, in particolare quelli a ordinamento non consuetudinario, con l’intenzione di auto responsabilizzare il cittadino. In Italia viene introdotta nei rapporti con la pubblica amministrazione con la riforma Bassanini ed è stata subito percepita come una semplificazione dei rapporti con lo stato. Nelle intenzioni doveva essere un livellamento della disparità di potere con lo stato. Hanno inoltre messo in luce tre aspetti importanti: a) il carattere emergenziale a scopo delle misure restrittive previste, volte a limitare la vicinanza tra le persone con il solo obiettivo di scongiurare il contagio; b) il carattere temporaneo delle misure stesse; c) la previsione di eccezioni alle normative eccezionali, nella misura in cui ai cittadini è stata lasciata la possibilità di gestire l’eccezione.
Le democrazie costituzionali prevedono che il governo del rischio non comporti una sua risoluzione totale; non vogliono controllare olisticamente tutto, né presumono che sia possibile o desiderabile eliminare il rischio. Agli inizi di marzo era così e questa è la logica della procedura di autocertificazione: l’ordinanza che vietava di uscire dalla propria abitazione, dalla propria città e dalla propria regione contemplava che i cittadini potessero essere esentati da quel divieto per poter far fronte a necessità che l’ordinanza non poteva prevedere (quelle mediche, quelle lavorative in determinati settori professionali, quelle alimentari e quelle legate a necessità familiari, andare a imbottigliare il vino prima che cambi la luna, ecc).
E sull’autocertificazione improvvisamente le cose hanno funzionato. Le zone rosse e il confinamento non si rispettavano, la gente scappava, si accalcava sulle piste da sci. L’autocertificazione improvvisamente ha indotto le persone, qualificate come individui responsabili, ad agire con la necessaria saggezza.
Non ci sono stati i carri armati per le strade. La polizia poteva fermarti e chiedere di dichiarare pubblicamente il motivo dell’uscita di casa. Questo è stato sufficiente.
Ai cittadini è stato chiesto di comprovare sotto la loro responsabilità l’eventualità di un’eccezione alle norme d’eccezione.
Nella scelta tra uscire per attendere ai miei affari e la salvaguardia della salute pubblica solo l’individuo può infatti contemperare l’importanza relativa delle due azioni e giudicare l’interesse prevalente. Nessuna autorità centralizzata ha la conoscenza necessaria per regolare l’insieme delle azioni meglio che il concorso di milioni di scelte individuali.
Sarebbe bello un mondo di persone che scelgono sempre responsabilmente senza bisogno di governo, scienziati e decreti. Ma così non è.
L’autocertificazione è il catalizzatore che ha reso la scelta individuale possibile. Nel dichiarare pubblicamente la imprescindibile necessità di uscire e correre il rischio di infettare il prossimo ciascuno qualifica di fronte al mondo il proprio comportamento, accettando di subirne le conseguenze in termini di reputazione, per esempio. Uscire e propagare l’infezione per motivi banali qualifica il responsabile e, nei casi più gravi, lo rende responsabile di fronte alla comunità
Uscire per provvedere ad affari importanti e non rinviabili provvede almeno la considerazione della buona fede e la solidarietà dovuta a chi non ha alternative.
Che questa dichiarazione abbia avuto bisogno di un volgare modulo e dovesse essere resa a un odioso vigile urbano o a un questurino non cambia il senso della considerazione sopra espressa, così come non la cambia il fatto che l’ordinanza sia stata emessa da un governo statale, per di più composto di persone poco stimate. Sono le conseguenze inintenzionali che si rivelano virtuose quando risultano come somma delle azioni individuali.
Come ci insegnano i teorici della libertà come non-dominazione, la libertà è da intendersi come non semplicemente come assenza di interferenza, ma come assenza di arbitraria interferenza nelle scelte individuali da parte di chi ha potere: non è solo il «fatto» del fare o non fare qualcosa (come nella definizione che ne dà Thomas Hobbes nel capitolo XXI del Leviatano), ma è la certezza della norma che non mette la libertà mia e tua di fare o non fare nelle mani dell’autorità che, a sua discrezione, ci concede la licenza di fare o non fare. Essere dominati implica un modo di ubbidire da sudditi.
Vediamo anche la cosa dal punto di vista, che ci preme, della responsabilità personale. Questa, se non vogliamo sia un’affermazione puramente astratta, deve diventare cogente nella vita delle persone, con punizioni per chi non l’esercita in modo responsabile o appropriato.
In un’epidemia è evidente che il comportamento di ciascuno può diventare dannoso o mortale per gli altri. Non è pensabile che ciascuno faccia quel che gli pare senza curarsi delle conseguenze. E’ anche impensabile che un’autorità centrale possa determinare per tutti il comportamento da tenere. L’ordine può essere solo spontaneo. Quest’ordine spontaneo, in quella situazione di grave pericolo, abbisogna di una pubblica dichiarazione di quel che si sta individualmente facendo: esco per questo motivo, adotto queste precauzioni. Il pubblico ha diritto di sapere che si esce per cose importanti e con la necessaria prudenza, perché ne va della vita di tutti. E anche perché le persone che impegnano lo spazio pubblico impediscono agli altri di usarlo quindi devono avere delle ragioni valide per farlo.
Ecco che, interrogato, ciascuno deve dichiarare la ragione delle sue azioni e solo così, assumendosela pubblicamente, la responsabilità individuale diventa norma di comportamento e legge.
Possiamo, in altra sede, descrivere un meccanismo che possa affermare la legge, la responsabilità individuale e il principio di non aggressione, e rispetti la riservatezza, impedendo a chiunque di violare la sfera individuale. In questo modo avremmo uno strumento formidabile di affermazione della libertà dell’individuo.

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by Roberto Bolzan

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Roberto Bolzan

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2 Comments

  1. Roberto Bolzan

    La collocazione di questo articolo è totalmente sbagliata.
    E’ sbagliato dire che io non mi riconosco in toto o in parte in un liberalismo allargato che mette al centro l’individuo e considera inviolabile la sua libertà.
    Io metto al centro l’individuo e considero inviolabile on sono stato di la sua libertà.
    Cerco di pensare con pragmatismo, che è diverso, e solo per affermare la libertà e mai, assolutamente mai, di toglierla,

    Se si pensa che l’autocertificazione sia una limitazione della libertà significa che non sono stato ingrato di spiegare bene la mia posizione (diciamo così).

    Reply
    • Roberto Bolzan

      In seguito alla mia protesta la collocazione è stata corretta. Quindi grazie

      Reply

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