
Capitalism in America (Alan Greenspan, Adrian Wooldrige) – 2018 Tramedoro

Il nuovo libro di Alan Greenspan e Adrian Wooldridge, “Capitalism in America” racconta in maniera affascinante la storia del capitalismo americano: una storia di imprese titaniche, di figure imprenditoriali leggendarie, di progressi stupefacenti e di trionfanti scoperte.
L’America, ricordano gli autori, è il luogo di nascita del capitalismo popolare e della produzione di massa: mentre in molti paesi il capitalismo viene associato alle élite plutocratiche, in America è sempre stato associato all’apertura e all’opportunità. Nell’immaginario americano, la libera iniziativa permette anche a una persona di oscure origini di scalare i vertici della società e godere quel tenore di vita un tempo riservato solo alle classi elevate.
I Padri Fondatori, scrivono Greenspan e Wooldridge, fecero un ottimo lavoro nel proteggere l’economia dalle interferenze politiche, dotando i propri cittadini di diritti inalienabili e vincolando in diversi modi il potere statale. Il gold standard offrì un sistema monetario estremamente stabile, che permise agli Stati Uniti d’America di fare a meno di una banca centrale per 77 anni, dal 1836 al 1913. Inoltre, fino al 1913, non esisteva l’imposta sul reddito. In un ambiente così favorevole, l’iniziativa poteva avere libero sfogo.
Per tutto il XIX secolo l’America rimase fedele alla libera iniziativa e al governo limitato sia nei fatti sia negli ideali. Nel 1871 il governo federale impiegava solo 51mila persone, delle quali 37000 lavoravano per le poste. Quindi, se escludiamo gli uffici postali, gli americani potevano passare tutta la vita senza alcun contatto con il governo federale. La Casa Bianca aveva ben poco a che fare, tanto che Grover Cleveland (presidente dal 1885 al 1889 e dal 1893 al 1897), fedele ai principi dello Stato minimo, rispondeva direttamente alle telefonate e apriva la porta agli ospiti.
Se escludiamo gli anni della guerra civile, la spesa complessiva del governo a tutti i livelli (federale, statale e locale) tra il 1800 e il 1917 rimase sempre inferiore all’8 per cento del Pil. In altre parole, il settore pubblico estraeva dall’economia solo 8 centesimi per ogni dollaro prodotto, 6 dei quali venivano spesi dal governo locale. La straordinaria crescita dell’economia americana dopo la guerra civile, senza precedenti nella storia umana, ebbe quindi luogo praticamente senza alcuna interferenza da parte di Washington.
Alla maggior parte degli americani tutto questo piaceva: secondo l’opinione comune del tempo, tutto quello che occorreva per avere una buona società era una moneta sana e una Dichiarazione dei diritti; il libero mercato avrebbe fatto il resto.
Una mia recensione approfondita del libro si trova sul Tramedoro.
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