
Gli analfabeti funzionali del fact checking

Negli ultimi tempi mi sono ancora più radicalmente convinto che il “fact checking” sia un’attività che ciascun individuo dovrebbe fare a livello personale, ma che non possa e non debba essere istituzionalizzata per alcun motivo.
Come la censura, il “fact checking” istituzionalizzato si presta alla strumentalizzazione politica diventando una cura peggiore della malattia.
Il punto è che chi reclama a gran voce censure, fact checking, commissioni anti-odio, comitati etici contro il politicamente scorretto (come quello indegno messo in piedi dal rettore dell’Università degli studi di milano per “inquisire” il prof. Bassani reo di aver ripubblicato un post contenente verità documentate e interpretato ottusamente come sessista solo da analfabeti funzionali cui sfugge completamente il significato delle parole satira e ironia), tutti costoro negano la capacità dell’individuo di pensare con la propria testa, pensano cioè che le opinini debbano essere indirizzate da qualcuno che le preconfeziona.
Ovviamente questo qualcuno sono loro, in virtù della loro presunta proclamata superiorità non solo intellettuale ma anche etica.
L’arroganza di questi individui è pari solo alla loro pericolosità sociale ed esprimono a tutti gli effetti un anti-umanesimo culturale.
Tali credenze tuttavia, oltre a essere figlie di un’ideologia che arriva a negare l’uomo e il libero arbitrio spianando la strada ai totalitarismi criminali di destra e di sinistra, sono il risultato di un impoverimento culturale e dell’incapacità di un uso razionale della propria mente.
È la manifestazione più evidente di quell’analfabetismo funzionale di cui tanto si parla ma di cui non si vuole rimuovere le cause, ovvero la mancanza di libertà nell’istruzione.
Fateci caso, sarà sicuramente capitato anche a voi qualcuno che ad un vostro post su un social network, prima di qualunqie altra considerazione, chiede quale sia la “fonte” , non che ci sia nulla di male in una reale interesse ad accedere direttamente a fonti di dati, ma in realtà questi lo fanno perché confondono informazione con opinione.
Perché un post su un social è l’equivalente di una chiacchiera al bar, sono opinioni, nella totalità dei casi viziate da cultura, credenze, valori, ideologia, politica, che sono propri dell’individuo che le esprime. Un post non fa informazione. Alcune opinioni possono essere ben argomentate, altre sono spazzatura e spesso menzognere per interesse.
Aspettarsi che un post sia costruito come dovrebbe essere costruita una informazione giornalistica, citando fonti e facendo analisi è come confondere il bar con una testata giornalistica. E’ come se si volessero eliminare per legge le balle da bar, o la menzogna. È irragionevole e tipico di chi, non essendo in grado di usare la propria testa, per verificare, confrontare, analizzare, vuole un’opinione preconfezionata e si aspetta che sia sempre obiettiva e razionale, senza rendersi conto che così si espone ad essere totalmente manipolato.
Anche solo per un sano principio di prudenza è molto opportuno prendere per buona la seguente affermazione: “Chi vuole censura, fact checking, commissioni anti-odio, comitati etici antipoliticamente scorretto, etc., li vuole in fondo solo per manipolare gli individui, non per difenderli“.
Se l’essere umano si vuole salvare, deve avviare un nuovo umanesimo. Deve tornare a fare affidamento solo sulla sua capacità di analisi e rigettare con fermezza le ideologie che negano se stesso.
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