
Il delirio di onnipotenza di Zuk & Co e la loro imminente certa caduta

Facebook è una piattaforma. Il suo creatore, Zuckerberg (Zuk), per non rispondere dei contenuti pubblicati, ha sempre sostenuto la natura prettamente tecnologica del proprio social network. L’ha definito per quello che dovrebbe essere, una piattaforma abilitatrice, non un “publisher” (editore) , né una media company.
Lo ha fatto di fronte alle commissioni di Camera e Senato statunitensi, così come dinnanzi al Parlamento Europeo.
Anche nel rapporto con i suoi utenti – come impresa privata – la promessa contrattuale di facebook è stata: “aderite alla piattaforma e usatela per dire quello che volete, ma attenzione voi siete responsabili di quello che dite in prima persona. Inoltre la nostra piattafarma vi da grandi vantaggi, potete anche investire in comunicazione e farci business ampliando la vostra lista di contatti e di clienti. Siamo anche una piattaforma di ecommerce“
In questo modo facebook è cresciuto fino ad avere più di due miliardi di utenti.
Due miliardi! Un bel numerino, non c’è che dire.
Vorrei farvi riflettere su cosa implica questa posizione, anche per fare chiarezza a chi si lascia condizionare da coloro che, nell’ignoranza o nella mala fede, invocano per i social censure e filtri anti-odio, anti fake e anti politicamente scorretto.
Le Costituzioni delle democrazie moderne difendono la libertà di espressione. Difendere i diritti naturali degli individui è infatti il loro compito primario (direi unico) per porre un limite al potere degli stati che esse stesse con la loro esistenza legittimano. Si può dire che la Costituzione è il cuore pulsante della democrazia. Se una Costituzione non dovesse assolvere questo compito, la democrazia sarebbe una tirannide della maggioranza numerica.
Uno dei più basilari diritti naturali è il diritto di espressione. Non a caso il primo emendamento della costituzione americana recita:
Ma statement simili li trovate, per fortuna, in tutte le Costituzioni delle moderne democrazie. Anche nela nostra, anche se un po’ più in basso all’Art. 21.
In sostanza, è protetta la libertà di parola, di scrittura e più in generale di espressione, libertà che non possono essere limitate in alcun modo.
Questo significa che ognuno può dire quello che vuole senza conseguenze? NO. Vuol dire che può dire quello che vuole ma risponde delle conseguenze di quello che dice, e per questo c’è la legge ordinaria.
Quegli imbecilli cialtroni che cianciano oggi di limitare la possibilità di offendere, di dire cose false, di esprimere sentimenti di odio o esternazioni anche esecrabili, dovrebbero capire che così facendo minano le basi della democrazia stessa, una parola di cui si riempiono la bocca continuamente.
Voglio essere molto chiaro, queste persone sono nemici della democrazia, perché con la loro posizione aprono la strada ai regimi totalitari di destra e di sinistra. Sono criminali e nemici dell’umanità.
Fatto questo inciso importante torniamo al nostro amico Zuk (ma lo stesso vale per gli altri social network) .
Soldi, fama e due miliardi di utenti favorirebbero in chiunque il formarsi di un incontrollato delirio di onnipotenza e Zuk e gli altri AD dei social sono uomini.
Essere una piattaforma tecnologica leader nel mondo con due miliardi di utenti è già tantissimo, ma essere un editore mondiale con due miliardi di lettori che possono essere informati, indirizzati, manipolati, è immenso.
Sia chiaro, nessuno sarebbe in grado di diventarlo se ponesse con chiarezza questo statement nel proprio contratto con i suoi clienti:”userete la piattaforma, ma la piattaforma avrà il potere di censurarvi, oscurarvi, bloccarvi ogni volta che ritenesse opportuno farlo, in quanto è responsabile in ultima battuta di tutto quello che scrivete.”
Inoltre nessun governo lo consentirebbe. I governi pongono limiti antitrust alle quote di mercato di un editore nel proprio paese, figuriamoci se lascerebbero libero un soggetto privato di influenzare due miliardi di persone.
Ma la tentazione era troppo forte, e così Zuk ha iniziato a comportarsi da editore, violando in questo modo l’accordo contrattuale fatto con i suoi clienti e su cui ha costruito la sua fortuna.
Ha iniziato questo riposizionamento opportunista in modo subdolo e sulla base della sua convenienza.
Prima lo ha fatto nelle corti di giustizia. Quando durante un’udienza legata a una causa intentata da una “startup” che accusa facebook di truffare gli sviluppatori tagliando il loro accesso ai dati degli utenti, i legali che rappresentano il social network hanno sostenuto che Facebook è un editore. Può pertanto esercitare discrezione editoriale, in base alle prerogative del Primo emendamento della Costituzione americana. Una posizione molto debole da sostenere senza dover pagare circa due miliardi di collaboratori!
Poi ha iniziato a proteggersi, come farebbe un editore che deve rispondere delle proprie azioni, limitando la possibilità dei suoi utenti di esprimersi liberamente.
Quindi ha ulteriormente sconfinato, non limitandosi a censurare ciò che potesse causargli danni, ma andando oltre e decidendo lui in modo arbitrario e inappellabile cosa è falso, cosa è buono, cosa è lecito. Influenzando in questo modo le idee e i comportamenti di miliardi di individui.
Infine il clamoroso passo falso, si è schierato politicamente. Determinando con le sue censure il risultato della competizione elettorale della più grande democrazia del mondo.
I Dem lo hanno usato per vincere la presidenza, altrimenti chiaramente persa. E lui, insieme ad altri AD di social di grandi dimensioni, si è fatto usare. Facebook e Twitter hanno infatti censurato unilateralmente qualunque notizia danneggiasse Biden, il candidato Dem alle presidenziali, e hanno sistematicamente censurato Trump. Si sono cioè comportati da editori schierati politicamente.
Quando recentemente Zuckerberg e Dorsey (l’AD di Twitter) si sono presentati davanti alla commissione di giustizia del Congresso americano, convocati in audizione per spiegare come le rispettive società moderano i contenuti nelle piattaforme social, si sono comportati da editori reclamando il diritto di schierarsi in virtù del primo emendamento. Anche se, messo alle strette, Dorsey ha dichiarato di aver sbagliato a bloccare la condivisione dell’articolo del NY Post sui presunti affari illeciti in Ucraina di Hunter Biden. Ops, un errorino da niente, inaccettabile anche per un editore schierato.
A queste esternazioni, il senatore repubblicano John Cornyn ha ribattuto che in questo caso è si rende necessario un cambiamento della legge. In particolare della Sezione 230, la norma che solleva i social dalla responsabilità sui contenuti condivisi attraverso le loro piattaforme, in pratica la norma che considera i social piattaforme tecnologiche e non editori. Norma che Trump ha minacciato di abrogare e se non l’ha ancora fatto è perché nelle attuali condizioni di forza, tale abrogazione legittimerebbe il ruolo dei social come editori capaci di influenzare la politica a livello globale. Una posizione certo conveniente per Zuk & Co, tanto è vero che questi si sono detti favorevoli a lavorare imsieme al Congresso alla riforma della Sezione 230. E lo credo bene!
E siamo così arrivati alla fine della storia. Il delirio di onnipotenza di Zuk gli ha fatto fare un passo clamorosamente falso, considerarsi editore globale con il diritto di schierarsi politicamente. I repubblicani non lo dimenticheranno, ma anche i democratici dopo averli usati, difficilmente consentiranno che ottengano questo enorme potere. E siccome Zuk & co non hanno ancora (per fortuna) ottenuto il monopolio della forza e non possiedono eserciti, saranno ridimensionati e torneranno a essere quello che devono essere, piattaforme tecnologiche.
Piattaforme a cui, a mio parere, sia in virtù del primo emendamento, sia per non violare le promesse contrattuali originarie con i propri utenti, non dovrebbe essere consentita alcuna possibilità di censura o di indirizzo ideologico, culturale, religioso e politico dei propri utenti.
Vi do una dritta gratis, cominciate a vendere azioni facebook.
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