Non parlerò dei libertari che sono diventati i profeti del covid. Ormai penso di aver capito il fenomeno. Sono uomini e donne, alcuni anche amanti della libertà, che tuttavia immaginano che possa esistere un bene superiore alla libertà individuale, e che possa pertanto giustificare l’affidarsi ad una autorità coercitiva che la sospenda in nome del bene superiore.
Con essi non è possibile comprendersi perché l’inconciliabilità è sulla teoria, non sulla prassi. La possibilità che un tale bene esista sposta la discussione su qual è il bene superiore da salvare e come farlo; ora la salute, ora l’ordine, ora la morale, ora la giustizia, ora la stessa libertà, ma quella collettiva dei molti a spese di quella dei pochi.
Ma la libertà individuale per un libertario coincide con la vita stessa, è al vertice della scala valoriale, e non può essere tolta se non con un atto di rinuncia individuale. Ma sembra che ciò sia vero sempre per meno persone.
Ecco, vorrei parlare di come questa pandemia abbia evidenziato questo trend.
A me sembra che l’evoluzione degli stati nazionali democratici dell’ultimo secolo abbia plasmato una umanità nuova.
Ciò è avvenuto parallelamente all’aumento della dimensione sociale a scapito di quella individuale e all’aumento della sfera di influenza degli stati stessi. Il risultato è un’umanità che ha sempre più paura al punto di rinunciare a una vita piena.
Non c’è dubbio infatti che una sensibilità sociale sempre più spinta abbia ampliato a dismisura gli ambiti e gli spazi di azione degli stati, che promuovono welfare più estesi e sempre maggiori tutele ai cittadini.
Quest’ultimi conseguentemente sembrano essersi seduti sull’illusione che gli stati possano essere la soluzione finale ai problemi dell’umanità, possano offrire benessere, salute, lavoro, sicurezza.
Sembra sempre di più che tutte le risposte debbano provenire da un soggetto terzo, non più da ciascuno di noi.
La nostra vita quindi non è più un atto di libertà, non è più la ricerca individuale e rischiosa di queste risposte, ma la rappresentazione di un ruolo che il sistema assegna a ciascuno di noi. In questo ruolo i rischi non devono avere sede. Devono essere rimossi, qualcuno deve rimuoverli per noi.
Ora accade che se il valore supremo diventa sopravvivere, e non più vivere, la paura della morte diventa la paura più grande e la libertà, ovvero la vita piena, non è più il valore supremo.
La paura è l’emozione più difficile da gestire. Il dolore si piange, la rabbia si urla, ma la paura si aggrappa silenziosamente al cuore.
GREGORY DAVID ROBERTS in Shantaram
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