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La Chiesa che sarà

La Chiesa che sarà

Milano, 10 Giugno 2386

Omelia alle Esequie di…….

“Da quando fu posta la prima pietra di questa cattedrale, sono trascorsi esattamente mille anni.

Le pietre, le colonne, le guglie rivolte al cielo di questo tempio hanno visto scorrere la Storia con le sue ombre e le sue luci, hanno conosciuto i suoi protagonisti, le loro umane vicende, eroiche e cristalline quelle di alcuni, discutibili e tenebrose quelle di altri.

Oggi celebriamo i funerali di un protagonista della nostra Storia contemporanea. Protagonista certamente riconosciuto, ma badate bene, solo per gli anni e i giorni che gli sono stati concessi, e fino al momento, sopraggiungto qualche ora fa, in cui la stessa Storia si è incaricata di tirare avanti, lasciandosi dietro anche lui, il nostro caro estinto. In questa bara in effetti, sta tutta l’essenza della vita di chiunque: un corpo immobile e freddo destinato alla corruzione e alla cenere. A nessuno di noi è risparmiato questo epilogo, così come non è stato risparmiato a nessuno di quelli che ci hanno precededuto e neppure all’uomo che oggi ricordiamo in silenzio e raccoglimento.

Le autorità civili e le massime istituzioni mi avevano chiesto solenni funerali di stato. In questo luogo e in tutti i templi dedicati al nostro Dio, i funerali sono sempre solenni. Ma proprio per questo non possono essere di stato. I funerali dunque sono solo religiosi, secondo il rito cattolico Ambrosiano, della religione che non ammette idolatrie di nessun tipo, religione a cui il nostro caro estinto apparteneva per il semplice fatto di essere un battezzato.

Officio io stesso, dunque, il rito funebre qui nel nostro Duomo, perché elevato come prevedibile, sarebbe stato il numero dei presenti. Familiari, amici, gente comune a cui le mie parole sono rivolte oggi perché possiamo convertirci a Cristo nostro Signore, prima dell’ora della fine, che incombe su tutti come infatti sta scritto nel Vangelo: “se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa”.

A parte i familiari, non sono state riservate prime file o posti per le autorità. Sta scritto infatti, sempre nel Vangelo: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

Oggi non sono qui a ricordare le gesta, la memoria di uno che è ormai morto e sul quale calerà inesorabile l’oblio del tempo e della memoria. Voglio invece ricordare a cosa è destinata una vita per quanto ricca di soddisfazioni, potere, ricchezza, rispetto, reputazione, stima, ma anche avversata da invidie, gelosie, inimicizie, contrasti: una cassa di legno, dentro la quale portiamo con noi solo tre cose e nient’altro più:

  • tutto il male che abbiamo commesso;
  • tutto il bene che abbiamo fatto;
  • tutto il bene che abbiamo omesso di fare.

Ciascuno le sue tre cose, nelle proporzioni e con le quantità accumulate durante la propria vita, indipendentemente da ogni altra cosa. Per il contenuto di questo bagaglio finale non sono previsti depositi, alternative, deleghe, condivisioni, tanto meno giustificazioni, meno che meno possibili recuperi. Niente di tutto questo è più possibile nell’ora della morte. Sta scritto infatti nel libro di Giobbe: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; l’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto”.

Se ciascuno di noi ricordasse a sé stesso ogni mattino questa semplice evidenza, e lo avesse ricordato ogni giorno anche l’uomo di cui oggi celebriamo le esequie, vivremmo tutti in un mondo migliore. Mondo ideale nel quale anche il nostro compianto avrebbe potuto far fruttare al cento per cento, i riconosciuti talenti della sua ingegnosità, intuito, capacità imprenditoriale, allo stesso tempo evitando gli eccessi di cui si è reso protagonista, rinunciando alle tante seduzioni cui ha ceduto.

Oggi, dunque, il vostro Arcivescovo non celebra le gesta di un eroe, l’esempio di un modello, nessuno di noi lo è perché il nostro modello è Cristo, autore della vita. Il vostro Arcivescovo è qui invece per far rifulgere la potenza del nostro Dio che usa misericordia con tutti, non fa distinzione di censo o potere, come sta scritto nel Deuteronomio; ”…Riconoscete dunque che Dio mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l’amano e osservano i suoi comandamenti…”.

Rifulga dunque in questo giorno e in questo tempio la gloria del Dio di Abramo che riconduce tutto a sé, ridimensionando ogni potere, ricchezza, fama terreni. Scriveva così il profeta Isaia: “…Ecco, le nazioni son come una goccia da un secchio,
contano come il pulviscolo sulla bilancia; ecco, le isole pesano quanto un granello di polvere…. egli riduce a nulla i potenti e annienta i signori della terra…

Il nostro defunto, attorniato da tutti quelli che lo hanno amato, stimato, conosciuto, frequentato ma anche disprezzato, avversato, irriso, perseguitato, non è più soggetto al potere delle tenebre di questo mondo, ma soltanto alla misericordia divina e al giudizio dell’Eterno.

E noi vegliamo la sua salma per ricevere ammonimento per i nostri giorni, insegnamento per le nostre decisioni, sapienza per compiere il bene e rifiutare male.

Ai potenti del suo tempo, scriveva così il nostro San Francesco d’Assisi: A tutti i podestà e consoli, magistrati e reggitori d’ogni parte del mondo, e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo nel Signore Dio, piccolo e spregevole, a tutti voi augura salute e pace. Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico perciò, con tutta la reverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore, assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo e di non deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno dimenticati da lui. E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di possedere saranno loro tolte. E quanto più sapienti e potenti saranno stati in questo mondo tanto maggiori saranno i tormenti che dovranno patire nell’inferno”.

Che il Signore Dio misericordioso che tutto scruta e tutto conosce, abbia trovato il nostro defunto, nell’ora della sua morte come il poverello di Assisi raccomandava ai potenti del suo tempo.”

Siro Colombo, arcivescovo di Milano

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