
L’Affirmative Action e i robottini sexi di Sorayama

L’Affirmative Action, ovvero una legge per ogni “ingiustizia”, è la versione sociale della pianificazione economica.
L’AA (Azione Positiva in italiano) fa sì che vere o presunte discriminazioni trovino correzione legislativa tramite il supporto di partiti politici che si fanno portatori delle istanze dei veri o presunti discriminati.
Così come il dirigismo economico mette nelle mani di pochi le decisioni economiche che altrimenti troverebbero il loro ottimo nel libero mercato, parimenti il dirigismo sociale mette nelle mani di pochi la decisione di quali presunti diritti sono discriminati.
La fallacia dell’AA, infatti, è che esso non punta a correggere le aggressioni dei diritti negativi, i soli che vanno tutelati, ma cerca l’applicazione forzosa di tutti i possibili diritti positivi che vengono “discriminati” agli occhi delle presunte vittime.
Le pari opportunità si traducono in pari risultati, per legge.
L’AA determina un processo degenerativo che si trasforma presto in furore equalizzante.
L’eccesso legislativo che ne deriva è evidente. Serve una legge per correggere qualunque stortura. In particolare le storture che “si vedono” e che vengono con più forza reclamate direbbe Bastiat, quelle che non si vedono al contrario vengono ulteriormente aggravate dalla riduzione di opportunità ad opera di delle storture corrette. Perché la somma delle percentuali dei possibili “diritti” (inventati) da livellare è senza fine.
Il 10% sono omosessuali, il 70% sono eterosessuali, il 20% sono biondi, il 30% sono obesi, il 35% sono neri, il 50% sono donne, ahi ahi siamo già al 215% e abbiamo appena iniziato. Come promuoviamo la partecipazione di persone con queste identità in contesti in cui sono minoritarie e/o sottorappresentate?
E non finisce lì, perché le discriminazioni nascono dalle preferenze individuali degli individui, per cui si deve correggere anche quello che piace o non piace. La modella brutta oltre ad avere la sua rappresentanza deve anche piacere, è una diversamente bella.
Coerentemente, anche la manifestazione non equalizzate delle mie preferenze va corretta. Da qui il politically correct.
Facebook censura immagini di donne troppo in forma perché possono mettere a disagio chi non lo è (giuro, visto con i miei occhi). Il cinema deve avere linee guida su ciò che può o non può essere mostrato e su ciò che deve in ogni caso essere rappresentato. Gli stereotipi vanno corretti. La donna non può essere neanche immaginata come colei che, nella coppia, si occupa dei figli e della casa e tale rappresentazione deve sparire per legge anche dalle immagini dei libri di scuola.
E via così, all’infinito, finché la società non diventa una melassa indistinta senza aspirazioni e senza desideri.
Ci sarà spazio per il sesso in un mondo dove chi è sexy discrimina potenzialmente chi non lo è?
Per adesso restano i robottini sexi di Sorayama. Per adesso.
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