di Carlo Lottieri (pubblicato su Nuova Costituente)
Esce di scena Giuseppe Conte, venuto dal nulla e lì destinato a ritornare, ed appare Mario Draghi, da tutti presentato come la principale risorsa della Repubblica. L’Italia è abituata a vivere entro crisi di varia natura, ma stavolta si ha la sensazione che il castello di carta potrebbe crollare da un momento all’altro.
Se lo sfascio del sistema politico-sociale pare alle viste, questo non si deve al Covid e neppure alle folli scelte governative adottate per contrastarlo. L’Italia è un malato cronico entro un Occidente che, nel suo complesso, ha perso la rotta. Quello che contraddistingue la Penisola è il fatto di vivere un distacco radicale tra società civile e forze politiche, da un lato, e di fare i conti con un debito pubblico alle stelle e una situazione economica disastrosa, dall’altro.
Le molte incrinature economiche, culturali e identitarie che attraversano la penisola potrebbero quindi trasformarsi in fratture non più ricomponibili. In questo senso, il fallimento della Repubblica può essere il punto di partenza per la rinascita delle comunità e dei territori.
Se Mario Draghi è l’ultima risorsa di cui il sistema dispone, quanti auspicano una svolta devono già operare per il “dopo”. E per farlo è necessario che ognuno inizi a incontrare persone di buona volontà che vivono vicino a lui: nel proprio paese o nel proprio quartiere, tra gli amici o i colleghi. C’è bisogno che inizi ad articolarsi una domanda di protagonismo dal basso e che essa si concretizzi in iniziative (anche “micro”), in testi e cahiers de doléances, in proposte e progetti. C’è bisogno che ci si organizzi dove è possibile: nel proprio mondo vitale e a difesa
Meno di un anno fa, Nuova Costituente è sorta scommettendo proprio su questo: che dal letame del nostro disastro economico e sociale possano nascere – parafrasando De Andrè – bellissimi fiori. Fuor di metafora, la speranza è che ogni comunità comprenda che soltanto grazie a governi locali è possibile immaginare quella concorrenza tra governi in grado di favorire un migliore futuro per tutti. Non soltanto realtà differenti per storia e cultura possono essere meglio regolate se adottano norme più adeguate alla loro realtà, ma è pure cruciale che ogni territorio venga responsabilizzato e obbligato a competere con gli altri.
Draghi si annuncia come l’ennesimo tentativo operato da parte di questo establishment, che punta a salvare se stesso e una serie d’interessi parassitari. È quasi impossibile che possa fare bene, ma è certamente possibile che dopo l’ennesimo insuccesso dell’ennesimo uomo della Provvidenza una parte dell’opinione pubblica torni a guardare a destra, e poi a sinistra, e poi quanti rigettano destra e sinistra, in un carosello tanto estenuante quanto infruttuoso. È da tanto che siamo ingannati: è lecito ritenere che continueranno a farlo pure negli anni a venire.
Il “dopo Draghi”, però, può essere un’opportunità. Tanto più che un po’ ovunque ci sono esperienze civiche, gruppi indipendentisti, progetti volta a realizzare una rivoluzione federale. Nelle scorse settimane si è tenuto un bel confronto tra gli esponenti di tre “assemblee nazionali” (della Lombardia, della Sardegna e del Veneto) e da quell’incontro è emerso come – in contesti molto differenti – ci sia ancora in diverse aree della Repubblica chi vuole porre fine alle logiche centraliste. In seguito, ho incontrato tre personalità del Mezzogiorno, per dialogare su come anche al Sud – e non solo in Sicilia – sia possibile far crescere la voglia di un vero autogoverno.
Oggi possiamo vedere un po’ ovunque segnali interessanti. È necessario che ognuno, dove vive, provi a costruire qualcosa e sappia subito a metterlo in rete. Perché soltanto partendo dalla pretesa di prendersi cura del proprio guardino per germogliare quella rivoluzione in grado di farci uscire da questo incubo.
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