
Manifesto per una rinascita radicale

In questi ultimi due anni abbiamo verificato sulla nostra pelle i rischi che corre una democrazia quando lo statalismo diventa cultura dominante e non ci sono anticorpi libertari che possano contrastarlo.
La mancanza di un’etica della libertà sta condannando questo paese ad un futuro di miseria e di libertà civili violate.
Nessun partito ha cercate di limitare la deriva liberticida che ha visto i nostri diritti costituzionali calpestati e la costituzione stessa declassata a una velleitaria dichiarazioni di principi che possono essere stiracchiati e interpretati a piacimento da governi autoritari con la scusa di emergenze, oggi sanitarie domani economiche e sociali, che i governi stessi alimentano.
Nessun partito si è opposto.
Tra questi non può non notarsi il silenzio di Radicali Italiani, che è stato in passato artefice di grandi battaglie di libertà e dopo Pannella si è ridotto a un partitino di sinistra che insegue velleitarie cause rigorosamente lontane da casa.
È pertanto meritoria l’iniziativa di Fabio Massimo Nicosia, presidente del Partito Libertario, che sta promuovendo una iniziativa affinché Radicali Italiani si riappropri dei valori originali di matrice “left libertarians” .
Libplus è pertanto lieta di pubblicare il suo “Manifesto per una rinascita radicale” e di sostenerne gli argomenti, perché il paese ha dannatamente bisogno di libertarismo.
Libplus.it
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MANIFESTO PER UNA RINASCITA RADICALE
La vicenda del Covid-19, o, più esattamente, della sua gestione da parte dei governi Conte 2 e Draghi, ha segnato un punto di svolta nella vicenda radicale e, in particolare, di Radicali Italiani, che non può essere sottaciuto o minimizzato.
Occorre infatti ricostruire quale sia stato l’atteggiamento del gruppo dirigente di Radicali Italiani, in particolare nell’ultimo anno, di fronte ai provvedimenti emergenziali, adottati dai governi con il pretesto pandemico. In realtà è presto detto: nessuna reazione pervenuta.
A onore del vero, la mozione del XIX Congresso di Radicali Italiani in data 7 marzo 2021, conteneva il seguente pur timido passo: “Il Congresso denuncia come la pandemia globale sia stata per molti governi alibi quando non strumento di erosione dei diritti civili e politici dei cittadini, delle loro libertà fondamentali e di consolidamento di alcuni regimi antidemocratici”.
In realtà nemmeno si affermava che tra tali governi rientrasse anche quello italiano, né si ricavava alcuna conseguenza da tale analisi sul piano dell’iniziativa politica, tuttavia il tema era ben individuato, e ci si sarebbe aspettata la dovuta attenzione al problema nel corso dell’anno a venire.
Al contrario, già il giorno 9 marzo 2021, dopo la sua elezione a segretario di Radicali Italiani, al giornalista Stefano Pagliarini, il quale gli chiedeva se nella vicenda Covid-19 fossero stati “violati diritti individuali”, Massimo Iervolino rispondeva “Secondo me è una forzatura”, e tutto il suo comportamento successivo ha ribadito nei fatti tale atteggiamento di sottovalutazione, o se si preferisce di politica dello struzzo: basti considerare che in tutte le mozioni approvate dai Comitati Nazionali di Radicali Italiani nel corso dell’anno 2021 i termini “Covid”, “stato di emergenza”; “lockdown”, “coprifuoco”, “green pass” e affini non sono mai nemmeno stati nominati, dimostrandosi da parte del gruppo dirigente di Radicali Italiani una completa ignavia sull’argomento e, così, di fatto, una completa accettazione passiva delle politiche governative in materia.
Ora, tutto ciò è totalmente inaccettabile da parte di un partito che ancora si definisce partito del diritto e dello stato di diritto, che viene dalla tradizione pannelliana, quella per la quale “Dove c’è strage di diritto c’è strage di popoli”, e che invece ha totalmente disatteso la difesa del diritto e dello stato di diritto, salvo evocazioni retoriche quando si tratta di Polonia, Ungheria e Bielorussia, ma, chissà perché, non quando si tratta di Italia.
A nostro avviso, ci troviamo in questo caso di fronte a una corruzione ideale profonda da parte del mondo radicale, che deriva anche da un malinteso senso del suo attuale volersi collocare a tutti i costi “a sinistra”, il che pure rappresenta una distorsione rispetto a una tradizione radicale, per la quale l’autoproclamarsi di “destra” o di “sinistra” ha molto scarsa importanza rispetto ai contenuti politici che si propongono. In ogni caso, l’essere di sinistra dei radicali è sempre stato essere, semmai, sinistra libertaria, mentre ormai si sono introiettati tutti i luoghi comuni della sinistra collettivista e autoritaria, che diventano giustificazione di comodo a sostegno di qualsiasi lesione delle libertà fondamentali.
Siamo arrivati al punto che il governo ha preteso di subordinare a una propria autorizzazione l’esercizio dei diritti fondamentali e umani, facendo stalking nei confronti dei cittadini, ma un governo non è titolare di alcun potere legittimo in tal senso ribaltando qualsiasi gerarchia delle fonti, né con atto legislativo, né con atto amministrativo, e se lo fa diventa puramente e semplicemente un governo abusivo e illegale, tale da autorizzare nei suoi confronti qualsiasi diritto di resistenza e di disobbedienza.
Questo avrebbe dovuto essere l’ABC per i radicali, e quindi occorre chiedersi perché non lo è stato, al di là degli elementi opportunistici che possono avere giocato un ruolo in questo o quel dirigente politico. Occorre cioè risalire alle più profonde ragioni di corruzione ideale e culturale, che hanno determinato questo risultato.
Il vulnus si è venuto a determinare nel momento in cui si è accettata passivamente la narrazione dominante, per la quale l’invocazione dell’”interesse pubblico”, di qualsiasi interesse pubblico, per quanto ipotetico, consente al potere governativo di prevalere sui diritti umani, per quanto questi siano diritti umani di livello fondamentale, e come tali del tutto intangibili da parte di una qualsiasi autorità; va subito detto che un tale modo di funzionare del concetto di “interesse pubblico” è di derivazione fascista, anche se appartiene in toto alla cultura volgare della sinistra.
In questa vicenda, tutto ciò è particolarmente grave, perché stiamo parlando di “diritti umani” al livello più elementare possibile, in un certo senso al loro livello “più basso”, ma proprio per questo al livello più alto, dato che più grave ne risulta poi la violazione.
E infatti, a partire dal lockdown, strumentalizzando uno “stato di emergenza”, quello previsto dal codice della protezione civile, che non ammette nulla di tutto ciò, si è andati a incidere, non su questo o quel “diritto” particolare, ma sulla totalità dei diritti minimali della persona, che fanno di una persona una persona nel vivere associato, impattando sulla sua “libertà” nel senso più pieno e filosofico ultimo, intervenendo a piedi uniti sulla libertà di circolazione, sulla libertà di attendere alle incombenze minime della vita umana, come entrare in un negozio, recarsi in un bar, in un ristorante, andare al cinema o a teatro, in palestra o in un museo, o in vacanza, e persino sulla libertà sessuale, dato che tutti ci ricordiamo della ridicola farsa del divieto di incontrare altri dai “congiunti”, ammettendosi eccezioni solo previa “autocertificazione”, di tal che l’individuo viene ridotto a dovere certificare allo Stato le sue esigenze minimali di vita, pena l’illegittimità del loro esercizio!
Sono quindi due anni che, tra lockdown, coprifuoco, ossessione della mascherina -quella per cui Zangrillo ha parlato di patologia psichiatrica da abuso-, green pass, super green pass, consenso non libero e non informato, i governi, questo e il precedente, hanno giocato e giocano con una notevole disinvoltura con i diritti umani e fondamentali dei cittadini.
La reazione prevalente dei mass-media, dei maître à penser e della parte conformista degli utenti dei social network, quelli che corrono in soccorso del governo qualsiasi cosa faccia, e che chiamiamo “i semicolti”, è stata un continuo sminuire: “Che cosa vuoi che sia un’autocertificazione, che cosa vuoi che sia portare la mascherina, che cosa vuoi che sia stare un po’ in casa, che cosa vuoi che sia non potere andare al ristorante, che cosa vuoi che sia non potere prendere il treno: forse che sarebbe “diritto umano” andare al bar, al ristorante, allo stadio, al cinema, a teatro, al museo, in palestra, a comprare un’agendina o un trapano elettrico, o circolare liberamente? Che, non lo sai che l’art. 16 della Costituzione consente limitazioni alla libertà di circolazione? Che diritto umano sarebbe circolare, manifestare pubblicamente il proprio pensiero, in presenza di una pandemia? O forse tu pretendi di incontrare anche “non congiunti”? Perché tu pensi al sesso, in questo periodo? Non lo sai che ci chiedono dei sacrifici, e comunque non hai sentito che Pregliasco ha detto che ti puoi anche fare le seghe su internet? Non è mica un diritto umano poter prendere il traghetto da Messina a Villa San Giovanni, si vive anche senza. Forse che non lo sai che l’articolo trentadue(h) sul “diritto alla salute” prevale su ogni altra norma costituzionale?”
Quest’ultimo concetto è stato molto avallato da costituzionalisti televisivi di pronto intervento, meno popolari dei virologi televisivi di pronto intervento, dato che la materia è meno appassionante, e quindi il costituzionalista è meno gettonato del virologo, però i danni che procura sono forse anche maggiori. Perché non è tollerabile che fior di costituzionalisti siano andati in televisione a “illustrare” i contenuti dei DPCM, senza mai nemmeno mettere in dubbio la loro legittimità, salvo che quello è lavoro da questurino, non da costituzionalista.
A questo punto, però, occorre forse riflettere meglio su questo concetto di “diritto umano”, di “diritto fondamentale”, che questa vicenda sta riportando agli onori della cronaca. Perché quando noi sentiamo parlare di diritti umani pensiamo ad Amnesty International, la quale si batte ad esempio contro la tortura in ogni parte del mondo, a condizione naturalmente che si tratti di parti del mondo molto lontane, dai nomi esotici, in modo tale che nessuno sia sfiorato dal sospetto che noi si sia oggetto di tortura psicologica da due anni, perché il concetto tecnico-giuridico di tortura va saputo leggere bene, non parla mica solo di scosse elettriche ai testicoli.
Prendiamo il lockdown: il lockdown non ha inciso su questa o quella libertà, ma ha impattato su tutte simultaneamente, andando a colpire indivisibilmente la libertà stessa nel senso più alto e filosofico, trasformando la vita sociale dell’uomo in una “nuda vita” (Agamben), che, se fosse duratura in quei termini, nemmeno meriterebbe di essere vissuta, in quanto vita dei bruti e non degli uomini. E allora è emersa anche la pavidità, agevolmente indotta, di notevole parte delle persone, disponibili alla vita dei bruti pur di sfuggire l’insidioso virus.
E quindi, allora, abbiamo capito che “diritto umano” in questo senso, apparentemente più basso e in realtà più alto, non è solo la libertà dall’arresto arbitrario, ma è il potere attendere alle esigenze minimali del vivere umano e del vivere associato; più alto, nel senso che è più grave che persino queste vicende base e minime siano oggetto di “compressione”; salvo poi constatare che qui si è andati ben oltre il “minimo”, dato che si è giunti a subordinare all’adempimento vaccinale, pur in assenza di chiare evidenze scientifiche, persino lavoro e retribuzione!
Ma togli anche solo il diritto alle persone di andare al bar, al ristorante, al cinema, a frequentare persone e tutto il resto, e che cosa ne hai fatto, se non delle amebe plasmabili a ogni bisogna? Beh, in effetti, che cosa vuoi che sia? E a forza di “ma che cosa vuoi che sia”, siamo arrivati al punto che, senza nessuna giustificazione di carattere scientifico, l’unica cosa consentita al non vaccinato è di fatto fare la spesa per sopravvivere -la nuda vita, appunto-, però non si sa con quali soldi, dato che il non vaccinato viene sospeso dal lavoro, costringendo quindi di fatto le persone ad assumere contro la propria volontà un vaccino scarsamente efficace, che ha già dato vita in Europa a centinaia di migliaia di segnalazioni di reazioni avverse, il che lede ogni dignità umana, oltre a porsi in contrasto persino con il Codice di Norimberga; il tutto in violazione di qualsiasi principio di proporzionalità.
Ora, come è stato giustificato tutto questo dai costituzionalisti televisivi di pronto intervento, ai quali di fatto i dirigenti di Radicali Italiani hanno prestato la propria adesione? Affermando che l’”interesse pubblico”, in questo caso “l’interesse della collettività alla salute”, che è un concetto del tutto arbitrario, che pretende di giustificare qualsiasi cosa, prevale sui diritti fondamentali; quantomeno, si dice, interesse pubblico e diritto individuale vanno “bilanciati”, peccato però che il “bilanciamento” avvenga sempre in danno dei diritti individuali, mentre l’interesse della collettività continua a rimanere indeterminato e perseguito in modo inefficace.
Che cosa non va, in questo ragionamento, da un’ottica che dovrebbe essere quella della tradizione radicale, che ha sempre collocato i diritti umani al primo posto? Esattamente questo, ossia che i diritti umani non vanno per nulla “bilanciati”, ma rappresentano un apriori intangibile, e qualsiasi scelta va adottata tenendo come presupposto questa intangibilità, questo primato dei diritti fondamentali in quello che viene chiamato l’ordinamento lessicografico.
Perché è grave che questa prospettiva sia andata smarrita? Ma perché il primato indefettibile del diritto umano, in quanto inviolabile in qualsiasi caso, rappresenta esattamente l’esito specifico di un dopoguerra che ha riconosciuto l’immane violazione della dignità dell’uomo da parte dei regimi totalitari immediatamente precedenti, in particolare da parte del nazismo, e da qui la dichiarazione dei diritti dell’uomo e tutte le altre, e il codice di Norimberga e tutto il resto, che non si è mai voluto attuare seriamente, proprio per tenersi le mani libere per violarlo.
Eppure noi oggi godiamo di un’ottima Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la quale infatti è un testo totalmente massacrato dagli attuali provvedimenti governativi, dal divieto di discriminazione, all’obbligo di consenso libero e informato e così via. E si tenga ben presente che il senso di quelle carte dei diritti del dopoguerra consisteva proprio nello scongiurare il pericolo del ripetersi di determinati eventi, proprio per fare sì che questi non si ripetessero “mai più”. E invece, facendo leva sulla paura delle persone e sulla loro acquiescenza, evidentemente si può fare passare come buona qualsiasi violazione dei diritti più elementari, per cui sono arrivati al punto di confinare siciliani e sardi nelle loro isole, se non vaccinati.
Esattamente come gli altri, i dirigenti di Radicali Italiani hanno fatto propria una concezione molto volgare della Costituzione, intesa non più, come in passato, come baluardo delle libertà, ma come testo per andare alla ricerca in esso di tutti i pretesti possibili immaginabili di lesione delle libertà stesse, per cui di ogni lesione si potesse dire che era conforme a Costituzione, come se poi questa non andasse integrata con le carte internazionali dei diritti.
A tutto ciò si è accompagnato l’affermarsi di una concezione autoritaria della scienza, in realtà per nulla scientifica, fondata sull’ipse dixit di alcune star televisive, che hanno preteso con arroganza di incarnare “la scienza”. La persecuzione dei non vaccinati è tanto più grave in quanto non presenta alcuna effettiva esigenza di carattere scientifico, e infatti solo in Italia è avvenuta sostanzialmente in questi termini.
Dice, ma c’è la “Pandemia”. Ora il punto è proprio questo, al di là dei legittimi dubbi sul fatto che la “pandemia” sia stata gonfiata ad arte in quanto, come molti ritengono, funzionale a un progetto di ristrutturazione autoritaria del sistema economico-politico: ossia che si è fatto proprio il riflesso, che poi è stato in grande parte del tutto italiano, per il quale a fronte del problema la soluzione dovesse essere necessariamente autoritaria, e quindi ci siamo trovati di fronte a una subalternità ideologica, dato che nemmeno si è preso in considerazione che la libertà potesse essere non solo un fine, ma anche uno strumento di soluzione dei problemi.
Eppure noi libertari abbiamo appreso da Thomas Jefferson e da John Stuart Mill che la libertà è uno strumento di soluzione dei problemi superiore alla proibizione, e infatti all’atto pratico nessuno è in grado di dimostrare che il metodo italiano abbia sortito risultati migliori di quello svedese, o dello stesso metodo Johnson, o persino spagnolo, facendo gara con Macron su chi facesse il grugno più duro, salvo che poi Macron è stato sconfitto a livello parlamentare, mentre da noi il Parlamento si è rivelato un’inutile appendice del governo. Si è persa l’idea che ognuno si assume i propri rischi, perché non tutti hanno identica propensione al rischio, ma per capire questo bisogna avere una cultura della libertà che da noi è totalmente assente.
Questo i radicali, in quanto antiproibizionisti, dovrebbero saperlo molto bene, perché è il principio che enunciano quando affermano che la legalizzazione delle droghe “funziona meglio” della loro proibizione, salvo che poi questi radicali si rivelano incapaci di universalizzare il principio e di applicarlo sempre, limitandosi ad affermarlo solo in casi particolari (droga, aborto, eutanasia).
L’idea che il ricorso al principio di autorità, al diktat, sia lo strumento ottimale di soluzione dei problemi sociali è solo espressione di una pigrizia intellettuale, che non dovrebbe essere propria di radicali antiproibizionisti, i quali dovrebbero avere acquisito il concetto che la libertà funziona meglio dell’imposizione autoritaria, perché libertà è libera sperimentazione e concorrenza tra idee e soluzioni, e in questo consiste l’essenza della scienza autentica in senso epistemologico (si pensi a un Imre Lakatos), mentre qui abbiamo assistito all’imposizione di una ridicola scienza di Stato televisiva, e alla proibizione pura e semplice delle ipotesi di soluzioni alternative, come ha confermato il TAR Lazio con la sua sentenza sulla circolare Speranza sul sostanziale divieto di cure domiciliari, il che peraltro rende quello di Speranza un genocidio ai sensi dell’art. 6 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, per avere vietato in modo illegittimo cure che avrebbero potuto salvare decine di migliaia di persone.
Ora, è possibile che ciò sia stato frutto di pura e semplice corruzione e di servaggio nei confronti del grande capitale del farmaco, ma è stato anche e soprattutto espressione di una cultura politica totalmente statalista, in materia di sanità come di tutto il resto. Per uno come Speranza, il fatto che si possa essere curati a domicilio e non andando a intasare la burocrazia ospedaliera è una bestemmia. Del resto, egli stesso ha esplicitato il suo progetto autoritario socio-sanitario nel suo volumetto, che la Feltrinelli si è vergognata di avere pubblicato e che ha subito ritirato dal commercio, intitolato significativamente “Perché guariremo – Dai giorni più duri a una nuova idea di salute”, e la parte preoccupante sta proprio in quella “nuova” idea di salute, che tanto nuova non è, trattandosi di un misto nazista-stalinista, per il quale lo Stato ospedaliero deve seguire la vita della persona giorno dopo giorno, dal concepimento alla morte, dice lui, per cui uno dovrebbe passare l’esistenza a fare esami in ospedale e a farsi dire dal medico come deve comportarsi, come deve alimentarsi, come interagire con gli altri, per cui la cosiddetta salute diventa lo strumento più potente di controllo dell’esistenza e della libertà umana, come del resto aveva perfettamente illustrato Ivan Illich già prima di Foucault, al punto che le inefficienze del welfare vengono invocate assurdamente come argomenti di lesione dei diritti di libertà, per cui io dovrei perdere tutti i miei diritti di mobilità e restare chiuso in casa perché, a loro detta, ci sarebbero pochi posti in terapia intensiva, come se il fatto che ci siano presunti pochi posti in terapia intensiva non sia invece proprio il frutto di scelte politiche dei governi.
Non è un caso poi che Speranza dia molto spazio alla cosiddetta “salute mentale”, ossia del più pervasivo dei controlli che lo Stato può esercitare nei confronti del cittadino, riempiendolo della grande messe di etichette psichiatrica che il generoso DSM-5 mette a disposizione dello psichiatra-questurino che conosciamo.
Ora, il bello che merita di essere evidenziato è che tutti questi temi fanno parte interamente della tradizione radicale e pannelliana, ma purtroppo stiamo parlando di anni lontani, dato che oggi tutto questo è andato totalmente smarrito in un’acritica adesione alla narrazione dominante.
Ebbene, questa narrazione dominante, che passa oggi per quella che è stata chiamata la ducizzazione di Draghi, grande tecnico e grande banchiere, rivelatosi in realtà personaggio politicamente molto più mediocre di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi, si è affermata negli ultimi dieci anni, e consiste nell’atteggiamento, per il quale stare dalla parte sempre e comunque del potere sarebbe “cool”, perché contro il potere stanno i cattivi populisti e sovranisti, conflitto che fece un balzo ai tempi della lotta tra Renzi e Movimento Cinquestelle, per cui il primo avrebbe rappresentato il mondo dei colti e dei semicolti, mentre il secondo sarebbe consistito in un’accolita di analfabeti funzionali sostenitori delle scie chimiche e delle sirene.
Radicali Italiani si è accodata in pieno a tale banalizzazione, che, si badi, non è mai stata di Pannella, il quale anzi, con il suo intuito, aveva colto che i Cinquestelle stavano rappresentando in quel momento qualcosa di popolare e di significativo, patrimonio ovviamente oggi del tutto dilapidato dal pessimo ceto politico pentastellato.
Questo essere “antipopulisti” ha comportato come riflesso quello di aderire sistematicamente a qualsiasi narrazione e versione ufficiale, immancabilmente considerata l’unica autorevole e attendibile, mentre quelle contrapposte e alternativa vengono sistematicamente liquidate come “complottiste”, buttando a mare anche in questo modo l’autentica tradizione radicale e pannelliana, la quale si è sempre rifiutata di prendere per buone le verità ufficiali su Piazza Fontana, e quindi su Valpreda, sulla strategia della tensione tutta, ad esempio rifiutando di fare dei fascisti i capri espiatori delle stragi di Stato, sulla strategia anti-terrorismo di Cossiga nel periodo della cosiddetta “unità nazionale” tra DC e PCI.
Va individuato forse la pietra angolare di questo fenomeno, ossia l’essersi i radicali sdraiati sulle verità del potere, nel rapporto intrattenuto con Giuliano Ferrara e il quotidiano “Il Foglio”, che di tale vicinanza al sentimento del potere ha sempre fatto vanto, dato che Ferrara rivendicava il proprio machiavellismo e quella che lui considerava la bellezza del potere in quanto potere, per cui lui ha potuto essere senza troppe scosse via via comunista, craxiano, berlusconiano, renziano, sempre affascinato da chi tenesse in mano lo scettro in un dato momento. Ebbene, questo tipo di cultura si è molto diffusa, rinforzata dall’antipopulismo, in un certo tipo di quadro radicale e di Radicali Italiani in particolare.
Il liberalismo di Ferrara è sempre stato molto oscillante, ma il pensiero liberale classico, da Locke a Popper, ci ha sempre insegnato l’esatto opposto rispetto al machiavellismo, o, semmai, prendendo spunto proprio da Machiavelli, per capire che l’atteggiamento razionale è fatto di scetticismo nei confronti del potere, in quanto inevitabilmente destinato a diventare “abuso di potere”, concetto che Pannella ha sempre avuto chiarissimo e che è andato totalmente smarrito in questa narrazione “antipopulista”, per cui le élites sarebbero sempre sistematicamente migliori del popolo, quando le vicende degli ultimi tempi sono lì a suggerirci il contrario, ossia che quando il popolo riesce a mantenere spirito critico e non si fa gregge è dal popolo e non dalle élites di potere che può venire qualche speranza di riscatto.
E allora questo atteggiamento passivo e adesivo nei confronti del governo ha portato Radicali Italiani a tacere anche di quello strano nuovo fenomeno, al quale abbiamo assistito, ossia quello del “bullismo di Stato”, per il quale, nonostante non vaccinarsi sia stato e in parte sia ancora un legittimo diritto dei cittadini, le istituzioni più alte e i mass-media a loro servizio non hanno fatto altro che insultare quotidianamente, in modo persecutorio, i non vaccinati, dando loro degli immorali, dei free rider, dei privi di senso civico, dei parassiti della società, facendone sistematicamente e ancora oggi i capri espiatori della situazione, il che, insieme ai provvedimenti formali adottati, comporta persecuzione di gruppo sociale in senso tecnico ai sensi dell’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale.
E ciò persino in un momento in cui Crisanti, uno dei pochi che ha mantenuto, nonostante il coretto, un po’ di indipendenza di giudizio, ha dichiarato che ormai veicolo dell’infezione sono i vaccinati e non i non vaccinati, stanti le caratteristiche della variante Omicron, che buca totalmente gli attuali vaccini, i quali, ormai è dimostrato anche a livello ufficiale, come in Inghilterra, abbattono le difese immunitarie del paziente.
Intanto, il non vaccinato è posto totalmente ai margini della società, potendo al massimo fare la spesa, peraltro non si sa con quali denari, dato che il non vaccinato è sospeso dal lavoro, e tutto quello che sanno dire i dirigenti di Radicali Italiani a tale proposito è di invitare a vaccinarsi, con vaccini che hanno determinato centinaia di migliaia di segnalazioni di reazioni avverse a livello europeo, dimostrando di avere perso il benché minimo rispetto per l’autonomia individuale nel prendere decisioni.
Il discorso va esteso però a un livello più generale.
Questo amore e questa passione per le élites, che ha investito il mondo radicale, porta questo a un atteggiamento non più di generico sostegno a processi di federalismo europeo, ma, non diversamente da quanto avviene in +Europa, a un sostegno puro e semplice a queste istituzioni europee, in quanto a loro volta immancabilmente considerate, il che però, sia consentito dire, è anche molto banale e superficiale, depositarie della saggezza e dell’illuminazione, come se non si trattasse di istituzioni che perseguono ben definiti interessi.
In realtà ci sarebbe molto da dire su questo strano modo di intendere il “federalismo”, che non è per nulla libertario, dato che tende a una centralizzazione della sovranità al livello continentale, con continue cessioni di quote di sovranità da parte dei livelli nazionali e locali, quando il federalismo libertario, quello che risale a Thomas Jefferson, a Proudhon, a Bakunin o allo stesso radicalismo di Carlo Cattaneo, di Carlo Pisacane e di altri esponenti risorgimentali prevedeva che la sede locale mantenesse più poteri possibili, delegandone ai livelli superiori il minor numero possibile, il che è espresso oggi dal principio di diritto europeo della sussidiarietà, che però l’Unione europea molto spesso disattende.
Questo conformismo alla +Europa nei confronti dell’”Europa così com’è” porta anche poi alle attuali posizioni del tutto acritiche sull’euro, sulla finanza pubblica, etc., salvo immediatamente spostarsi sulla dottrina del “debito buono”, una volta che questo sia stato autorizzato dalla UE.
E che cosa ci arriva oggi dall’Europa? Un progetto di ristrutturazione capitalistica a spese del contribuente, al quale la pandemia ha offerto l’occasione, che, nel far fare pace non disinteressata a neo-liberisti e neo-keynesiani, ossia il Recovery Fund o Next Generation UE, al quale Radicali Italiani ha aderito con il consueto entusiasmo ingenuo e acritico, essendo del tutto incapace di individuarne le problematiche, il che evidenzia però anche un problema di qualità della sua classe dirigente.
Perché quando sulla scorta di Klaus Schwab e del World Economic Forum ci si viene a parlare, come fa l’attuale segretario di Radicali Italiani, di “transizione ecologica”, così come prevista dal Recovery Fund, lo si fa in modo del tutto inconsapevole delle conseguenze, tanto più che, nel suo vuoto di iniziativa politica, Iervolino sta puntando tutto su tale questione, sulla quale si ritiene tecnico e competente per ragioni di studi giovanili svolti.
E però ancora una volta gli sfugge totalmente il nesso tra queste tematiche e quello della libertà, dato che si sa già che, in nome della “transizione ecologica”, verranno disposti nuovi lockdown e crescenti limiti alla circolazione, argomento del quale si discute esplicitamente negli Stati Uniti, mentre da noi si sorvola; così come noi già sappiamo che “transizione ecologica” significa crollo tenore di vita, aumenti esponenziali delle bollette, e così via. Ciò non significa che il tema non vada trattato, significa però che non può essere trattato con la faciloneria, con la quale lo tratta l’attuale gruppo dirigente di Radicali Italiani.
Allo stesso modo il Recovery Fund prevede un forte impulso al digitale, il che viene spacciato come modernizzazione ed efficientamento della pubblica amministrazione, come se il Piano Nazionale di Rinascita e di Resilienza (PNRR) non affermasse a chiare lettere che, in barba a qualsiasi ormai grottesca normativa sulla privacy, occorre convogliare tutte le informazioni digitali di ciascun cittadino in un unico ambiente cloud, consentendo a qualsiasi amministrazione di accedervi a piacimento, in una sorta di pan-controllo senza limite alcuno. Il modello del green pass come tessera del credito sociale, per cui i cittadini verranno divisi tra buoni e cattivi indipendentemente dal compimento di alcun crimine, si sposa perfettamente con questo progettato “Grande fratello”.
Gli attuali radicali sono del tutto inadeguati a fare fronte a una simile situazione, sia perché ne sono compartecipi, sia perché nemmeno sono all’altezza politica di comprenderne la rilevanza. Il tutto in una situazione penosa dell’informazione, ormai totalmente al soldo del governo, Radio Radicale compresa, e con i social network come Facebook, che pretendono di fare tutto quello che vogliono, in quanto, secondo loro, soggetti “privati”, quando sono solo un’articolazione avanzata di questo sistema, con i loro fact-checkers di comodo e le censure.
Qui si aprirebbe un discorso sulla rilevanza economica, tanto più oggi con il web, sull’importanza finanziaria e di capitale del demanio, da valorizzare a vantaggio dei cittadini secondo il modello dell’Alaska, che è anche l’unico modo verosimile, in questo contesto, per incardinare una politica antitasse, perché se il vivere associato è inteso come modalità del guadagno comune, viene meno la ragione dell’imposizione fiscale stessa; il tema continua a esserci particolarmente caro, e lo stiamo coltivando con nuove iniziative anche giudiziarie, così come siamo impegnati sul fronte della libertà di manifestazione del pensiero sui social, anche in tal caso attraverso la proposizione di cause, perché noi intendiamo la politica anche come politica del diritto, nel momento in cui ci sentiamo ferrati anche dal punto di vista tecnico, e quindi non solo in materia di stato di emergenza, green pass e obblighi vaccinali.
Va pure detto, però, che questo declino spaventoso del mondo radicale è legato anche all’incapacità di questo ambiente, come constato quotidianamente come membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, di rinnovarsi e aggiornarsi sul piano della cultura politica, un aggiornamento che fondi sia pure le sue radici nella tradizione tipica radicale, ma che non può ignorare l’evoluzione del pensiero politico da oltre mezzo secolo a questa parte, dato che non siamo più negli anni ’50, ’60 o anche ’70.
Su questo piano c’è molto da rinnovare e da aggiornare, se uno legge nel recente libro di Gianfranco Spadaccia sulla storia radicale che nel 1955, anno di fondazione del Partito Radicale, quando lui aveva venti anni, i suoi riferimenti culturali erano Gobetti, Rossi, Rosselli e Salvemini, e oggi nel 2022 i loro riferimenti culturali sono ancora Gobetti, Rossi, Rosselli e Salvemini, ottime e rispettabili figure, per carità, ma qui c’è un settantennio di cultura libertaria che i radicali si sono visti passare sotto il naso senza saperne acchiappare nulla. E allora capisci meglio però anche il perché di tante scelte sbagliate.
In definitiva, noi ci candidiamo a guidare Radicali Italiani su queste basi nuove, e lanciamo un appello pubblico a Davide Tutino perché accetti la candidatura alla segreteria, considerata la sua coerente intransigenza libertaria e nonviolenta di questi mesi, anche perché Davide può garantire un segnale di continuità con la parte migliore del radicalismo pannelliano, naturalmente in quella prospettiva di rinnovamento di cui ho fin qui parlato.
Fabio Massimo Nicosia
Presidente del Partito Libertario
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