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Ragionare male con i comunisti

Ragionare male con i comunisti

Preventivamente: tutti siamo soggetti a commettere i seguenti errori (anche io ovviamente, quindi segnalateli pure). Qui si parlerà dei comunisti, perché semplicemente sono proprio loro a farli coesistere allegramente durante un’unica discussione, non perdendo occasione di difendere maldestramente le loro idee.

Preventivamente (parte 2): se vi sentite offesi rileggete bene, perché non c’è nulla di cui offendersi. Se vi sentite attaccati, forse è perché vi siete accorti di essere anche voi colpevoli. Se pensate che sia stato poco gentile, pensate a quando vorreste tagliare la testa ai preti o a quando vorreste appendere a testa in giù i liberali, perché per voi sono fascisti quanto i fascisti.

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Si tratta di un divertissement, ma è curioso notare che molti errori nel modo di discutere tra difensori di posizioni diverse e/o opposte siano presenti soprattutto quando si tratta di politica. Alcuni di questi errori possono persino far pensare che alcune tesi siano intrinsecamente indifendibili sul piano del ragionamento. [Nota: tratto qui in maniera del tutto informale fallacie, argomenti con un rinculo più forte dello sparo e altri simpatici argomenti a favore di chi sceglie di essere un interlocutore ragionevole]. Avevo già accennato ad alcuni problemi legati al ragionamento (uno di questi è l’ignoranza rispetto alle posizioni dell’altro, un altro era la fallacia dell’argumentum ad hominem). Proseguiamo questa compilazione. Iniziamo!

Uno dei maggiori problemi che si hanno quando si parla con(tro) i comunisti è che, spesso, puoi essere attaccato. Quindi: argumentum ad baculum. Il significato di questa fallacia è semplice. Il soggetto attaccato (che chiameremo Adam Smith) viene indicato come l’obiettivo di conseguenze nefaste dovute a una sua affermazione. Per esempio (chiameremo l’interlocutore comunista Lenin):

Adam Smith: Io credo che chiunque abbia il diritto di comprarsi una bella casa, dopo anni di lavoro e fatica, poiché non c’è nulla di illegittimo in tutto questo e, più in generale, non c’è nulla di male nell’essere ricco. Non vedo, poi, come un ricco che non c’entra nulla con la condizione di discriminazione di X debba sentirsi in colpa o essere preso di mira per via della sua ricchezza. A me questa sembra invidia sociale.

 

 

Lenin: Be’, se vuoi fare il ricco poi non lamentarti se chi ha meno di te e vive con n euro al giorno viene a romperti i vetri della tua bella auto parcheggiata in centro.

Quanto una risposta del genere sia ridicola mi sembra evidente. Ma proviamo ad approfondire. Il problema reale della risposta non è l’argomentazione sottesa, di natura morale (del tipo: “Ritengo che qualunque forma di ricchezza sia illegittima poiché l’economia è un gioco a somma zero e se tu hai la piscina allora qualcuno non avrà nemmeno il bidè” – anche se è comunque una tesi abbastanza debole e poco accorta). Il problema è la tenuta di un dibattito. Se non la gentilezza e la premura nell’argomentare rispetto al tema, non vedo cosa potrebbe configurarsi come un buon collante in un dialogo (tra l’altro l’offesa costituisce un’altra fallacia, questa però comunque a chiunque, vedasi molte reazioni scomposte dal lato liberale e libertario anche). Se io, ad esempio, iniziassi una discussione con un comunista dicendo: “So chi sei e dove abiti, se mi dirai cose da comunisti ti manderò la Digos a casa, tanto qualcosa da nascondere ce l’avrai sicuramente. Sei comunista, non lamentarti delle conseguenze”, non credo che il dialogo partirebbe nel modo giusto (anzi, probabilmente non partirebbe affatto!). Senza considerare che le minacce (più o meno dirette) non sono semplicemente qualcosa del tipo: se fai questo io ti farò quest’altro (ho amici che non mi toccherebbero per via dei nostri disaccordi politici). Una minaccia è anche: se dici questo qualcuno sarà giustificato a farti questo e quest’altro.

Un altro grande problema è il cherry-picking (ovviamente non parliamo di fallacie proprie solo dei comunisti, e se pensassimo ti attribuirle solo a loro commetteremmo a nostra volta questa stessa fallacia). Pescare dal mazzo solo ciò che ci interessa è una pratica comune nelle discussioni più “infervorate”. Si passa da “Eh ma allora questo?” a “Guarda in questo specifico caso – così raro e irriproducibile che ha coinvolto n persone che corrispondono a una percentuale vicina allo zero delle persone totali nel mondo – come funziona il mio modello”. Il primo caso è il più interessante perché riguarda ciò di cui viene accusato il nostro amico Adam Smith. “Eh, ma il cambiamento climatico. Eh, ma la fame in Africa. Eh ma …”. Per amore dell’argomento facciamo finta che questi elementi siano effettivamente colpa del capitalismo. Posso anche essere eventi molto rilevanti per la società umana. La domanda è: risulta essere un’argomentazione corretta quella che esclude tutta un’altra serie di indicatori (diminuzione della povertà, aumento del livello di vita, condizioni sanitarie, progresso tecnologico, ecc.) positivi, per sottolineare in maniera poco onesta solo i contro del modello che si vuole criticare? Per esempio (per cambiare obiettivo dell’attaccato): sarebbe apprezzabile se io, criticando il modello comunista scegliessi di elencare le nefandezze, come morti, povertà, ecc. senza riconoscerne i meriti (come alcuni progressi nel campo della strategia per la difesa pratica dei diritti civili)? Ovviamente no. Inoltre, si fa anche cherry-picking rispetto alle cause e questo rischia di portarci a leggere scorrettamente i motivi alla base delle problematiche che vorremmo risolvere. Per esempio: nel corso dell’epoca moderna (e nel corso dell’epoca in cui viviamo) non abbiamo mai assistito a forme di capitalismo di libero mercato slegate dall’influenza (anche ideologica) dello Stato. Ha davvero senso associare il capitalismo a tutti i problemi di oggi, dimenticandoci della presenza massiccia sia della pianificazione centrale, sia dell’ideologia dei singoli Stati? Lo stesso errore si avrebbe se si desse la colpa solo allo Stato. La colpa, come aveva già intuito Adam Smith (quello vero, non il nostro amico immaginario di quest’articolo), è del legame tra Stato (e la depravazione morale degli uomini, soprattutto quando comandano) e Capitalismo, tra interessi dei “mercanti” e strumenti di potere e coercizione dovuti a entità sovraindividuali, come l’istituzione Stato (che scalza la competizione per te, corrompendo il sano meccanismo di libero mercato). Dunque, difficilmente credo sia accettabile attribuire i problemi attuali a qualcosa che non c’è mai stato.

Quest’ultima considerazione si lega a un altro problema: la risposta a posteriori. Spesso i comunisti accettano che quello attuale sia capitalismo di relazione, e non di libero mercato ma affermano che sia una scusa per continuare a tenere in vita l’idea di capitalismo, quando evidentemente ha fallito. Questo fa parte di quegli argomenti che generano il rinculo di cui parlavo. Come non vedere che questa accusa non si addice ai sostenitori del capitalismo, mentre calza pienamente contro i comunisti? Non è forse una risposta data a posteriori (quando si erano accorti che non stava andando come speravano) quella della distinzione tra comunismo teorico e reale? Gli anni ’70 non sono forse un modo di dire, noi non c’entriamo niente, ci rigeneriamo per non morire, disconoscendo le conseguenze storiche delle nostre idee, così come prospettate dagli autori che abbiamo letto e che difendiamo? L’URSS non è forse il frutto del leninismo e anche del marxismo? Invece il capitalismo già nella sua prima compiuta teorizzazione ha sempre tenuto in considerazione il rischio di pervertimento e della degenerazione del modello economico teorizzato. Tant’è che Smith (si veda il link nel paragrafo precedente) ha sostenuto con forza una lotta contro l’egoismo dei mercanti e contro la collusione tra economia e stato. Distinguere capitalismo di libero mercato e capitalismo di relazione, dunque, non è una risposta a posteriori per salvarsi all’ultimo minuto. È qualcosa che fa parte della teoria da sempre, a differenza delle scuse post-sovietiche dei sostenitori del comunismo.

Per concludere, la lista potrebbe essere infinita. Ciò che mi importa è evidenziare come questo genere di problemi e di lacune argomentative portino costantemente la discussione a un livello ridicolo. Discutere razionalmente significa anche discutere con correttezza, “moralmente” se vogliamo. Nulla è illegittimo (nemmeno insultarsi), ma questo non vuol dire che nulla sia stupido.

Il barbiere di Hayek

by Riccardo Canaletti

Studia Philosophy and literature presso Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

 

Riccardo Canaletti

Coordina la sezione Filosofia

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