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Recovery Fund, una vecchia conoscenza di matrice keynesiana

Recovery Fund, una vecchia conoscenza di matrice keynesiana

Manca ancora un mese alla presentazione ufficiale dei progetti per il recovery fund e da quello che leggiamo neanche una delle 600 proposte rappresenta un cambio strutturale nella gestione della macchina italiana. Come può essere credibile quando si vogliono usare €500 milioni per monitorare nel tempo la soddisfazione degli italiani nei confronti dei servizi dell’amministrazione pubblica? Per analizzare quanto viene presentato sarebbe ridicolo affrontare una dopo l’altra le varie proposte, sarebbe uno spreco di tempo sia per chi vuole capire cosa sta succedendo sia per chi le analizza. Non solo, sarebbe un esercizio per gettare fumo negli occhi. Bisogna affrontare il cuore del problema, la base da cui vengono partorite idee fallimentari che a prima vista sembrano invece interessanti.

Il cuore del problema è la mentalità economica errata che guida questi progetti, ovvero, il cosiddetto moltiplicatore keynesiano: gli aumenti della domanda per beni e servizi sono il cuore della crescita economica. Non solo, ma secondo tale concetto anche l’aumento o la diminuzione della domanda è alla base dell’aumento e del calo della produzione di beni e servizi e che la produzione complessiva aumenti di un multiplo dell’aumento della spesa pubblica, dei consumatori, o delle imprese. Ad esempio, se la spesa pubblica viene aumentata di 100 e ogni consumatore riceve 1, ci si può aspettare che essi spendano il 90% di quanto ricevuto e risparmino il 10%. In sostanza, più viene speso dal reddito aggiuntivo, maggiore sarà il moltiplicatore e quindi maggiore sarà l’impatto della spesa iniziale sulla produzione complessiva.

La spinta iniziale al consumo deve avere origine da qualche parte. Di solito la fonte è il pompaggio monetario del sistema bancario centrale. Il denaro in quanto tale, però, non può mettere in moto uno stimolo economico genuino, perché se così fosse, tutte le economie del Terzo Mondo avrebbero cancellato la povertà molto tempo fa. Il denaro consente lo scambio di qualcosa: è un mezzo di scambio, non un mezzo di pagamento. Quando un individuo aumenta la sua spesa di €100, significa che ha abbassato la sua domanda di denaro di €100. Il negoziante che li riceve può utilizzarli quando lo ritiene necessario. Allo stesso modo, se il negoziante spendesse il 90% di suddetti €100, tutto ciò che avremmo è una situazione in cui la sua domanda di denaro è diminuita di €90, mentre la domanda di denaro di qualcun altro aumenterà di €90.

Se ceteris paribus gli individui aumentano la loro spesa per alcuni beni, saranno costretti a spendere meno per altri di beni. Ciò significa che la spesa complessiva in un’economia rimane invariata. Solo se la quantità di denaro nell’economia aumenta, la spesa in termini monetari aumenterà a sua volta. Quest’ultimo fenomeno, però, non può produrre un’espansione della produzione reale, perché tutto ciò che genererà sarà un rimescolamento del bacino dei risparmi reali: arricchirà i primi destinatari del nuovo denaro a scapito degli ultimi destinatari, o di coloro che non lo ricevono affatto. Una politica monetaria accomodante volta a stimolare la domanda dei consumatori, non può aumentare la produzione reale di un multiplo dell’aumento iniziale della domanda dei consumatori. Non solo la politica monetaria allentata non stimolerà la produzione, ma, al contrario, impoverirà chi crea ricchezza reale.

Ciò che consente l’espansione dell’offerta di beni di consumo finali è un aumento dei beni capitali (strumenti e macchinari) ed è il risparmio reale che lo permette. Gli aumenti della produzione sono conformi a quanto consentito dal bacino dei risparmi reali e non sono vincolati alla domanda dei consumatori. Il cuore della filosofia keynesiana è che la domanda di beni è alla base dell’economia, quindi le recessioni sono principalmente il risultato di una domanda insufficiente. Nel quadro keynesiano, un aumento della domanda non solo stimola la produzione complessiva, ma la aumenta del multiplo dell’aumento iniziale della domanda. In sitensi, il keynesismo afferma che qualcosa può essere creato dal nulla.

Nel mondo reale, una spinta artificiale della domanda non supportata dalla produzione porta alla diluizione del bacino dei risparmi reali e, contrariamente a quanto dicono i keynesiani, ad una contrazione del flusso di ricchezza reale. Inutile dire che ne risulta un impoverimento economico. Le persone si stanno abituando ad una nuova economia, una in cui dipendono sempre di più dallo stato… non solo per dire loro cosa fare, ma per il reddito. Il sistema bancario centrale può “sostenere” l’economia: il “vantaggio” è immediato e inconfondibile, ma il danno è a lungo termine e quasi invisibile ai più.

Il denaro fasullo fa salire i prezzi degli asset e rende felici gli investitori. Inoltre sposta la loro attenzione da investimenti produttivi a lungo termine (nuove fabbriche, nuovi prodotti, nuovi dipendenti) alla baldoria nei mercati azionari/obbligazionari a breve termine: riacquisti di azioni proprie, fusioni e acquisizioni e prestiti per finanziare bonus e dividendi, tutti forniscono guadagni rapidi per gli investitori ma nessun vantaggio reale per l’economia più ampia. Di conseguenza i tassi di crescita del PIL sono diminuiti negli ultimi 50 anni. Quest’anno sono negativi.

E ora i pianificatori centrali stanno dando a Main Street lo stesso trattamento truffaldino che hanno riservato ai mercati azionari/obbligazionari per decenni. Ma cosa succede quando si danno soldi al 90% delle persone che non possiedono azioni? Li rendi tutti più ricchi? Più ricchi di chi? Ed ecco qui la fregatura: il denaro fasullo non aumenta mai la ricchezza di una nazione, si limita a spostarla. L’investitore è “più ricco” quando riscuote le sue azioni e acquista più beni e servizi nell’economia di Main Street. È “più ricco” del 90% senza asset finanziari. Ma il 90% sarà più ricco di chi? Da chi acquisterà beni e servizi reali? Risposta: solo da loro stessi.

Quello che si ottiene quando si cerca di “stimolare” l’economia di Main Street è che più persone con più mezzi monetari faranno offerte per un bacino di beni sempre più esiguo. A quel punto sarà chiaro a tutti che i problemi dell’economia erano e sono sempre stati di offerta.

Tutti sono felici quando i prezzi salgono nel mondo finanziario. Le cose cambiano quando invece accade nell’economia più ampia.

Accademico della Scuola Austriaca d’economia, blogger, scrittore, studioso di liberalismo. E’ stato varie volte relatore in conferenze e ospite in trasmissioni radiofoniche. Nel 2012 partecipa alla fondazione dell’Associazione Von Mises Italia di cui è responsabile editoriale. Dal 2018 è community manager per il progetto Melis Wallet e nello stesso anno è entrato a far parte del Comitato Scientifico della Bcademy.

Francesco Simoncelli

Coordinatore sezione Economia e Finanza

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