
La lezione di Murray Rothbard a 200 anni dalla nascita di Marx

Con suprema noncuranza per l’oltraggio perpetrato nei confronti delle centinaia di milioni di vittime dei regimi comunisti che si sono ispirati alle idee di Karl Marx, nel bicentenario della sua nascita (avvenuta il 5 maggio 1818) una folta schiera di politici, burocrati e intellettuali ha dato il via ad un’orgia di celebrazioni tanto incomprensibili quanto vergognose. Che dire di questa corale e sorprendente celebrazione di un pensatore, le cui idee hanno lasciato un segno così terribile nella storia? È possibile che le teorie del padre fondatore del socialismo scientifico non abbiano alcuna relazione con gli immensi crimini perpetrati dal comunismo?
Ribaltando tutti i luoghi comuni sulla presunta purezza dell’ideale marxiano rispetto alla realtà, il grande pensatore libertario Murray N. Rothbard ha affermato che il marxismo prefigura un sistema sociale molto peggiore di quelli che si sono storicamente instaurati nei paesi del socialismo reale: lungi dall’essere un nobile ideale tradito da maldestri esecutori, il comunismo di Marx ha rappresentato un modello talmente negativo, che anche i rivoluzionari più fanatici non sempre hanno avuto il coraggio di seguire fino in fondo.
Per capire se Rothbard ha ragione occorre confrontare le realizzazioni storiche del comunismo con l’ideale marxiano della società comunista. Marx purtroppo ha descritto molto laconicamente l’ultimo stadio della futura società senza classi, ma ha insistentemente messo in luce alcuni caratteri essenziali, senza i quali non si può neanche parlare di comunismo: la completa abolizione della specializzazione e della divisione del lavoro, con conseguente scomparsa delle contraddizioni (cioè delle differenze, nell’oscuro gergo marxiano) tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, e tra città e campagna; l’abolizione della proprietà privata e di ogni forma di scambio e di moneta; la scomparsa delle sovrastrutture tradizionali, morali, e religiose.
Se questo è l’obiettivo da raggiungere, bisogna ammettere che nessuno dei comunismi realizzati, salvo forse quello instaurato dai khmer rossi in Cambogia, ha eguagliato la radicalità del progetto ideale. L’estinzione dello scambio e della moneta si verificò parzialmente solo nei momenti più terribili della storia sovietica, quando il terrore e le carestie falciarono molti vite umane: durante il comunismo di guerra del 1919 e durante le collettivizzazioni delle campagne ordinate da Stalin nei primi anni ’30 e da Mao alla fine degli anni ’50.
In quest’ultimo caso, il Grande balzo in avanti che provocò la più grande carestia della storia con 30-40 milioni di vittime, il leader comunista cinese tentò persino di superare le contraddizioni tra città e campagna ordinando l’installazione di una fornace metallurgica in ogni villaggio contadino. Qualche anno dopo, durante la Rivoluzione Culturale, attaccò invece le contraddizioni tra lavoro intellettuale e lavoro manuale spedendo migliaia di intellettuali a lavorare nelle campagne. Nello stesso periodo, la guerra alle sovrastrutture culturali venne condotta in Urss e in Cina attraverso la distruzione vandalica di monumenti, chiese templi, libri e reperti del passato.
Salvo questi atroci periodi, in cui i comunisti al potere tentarono il salto immediato nel puro comunismo di Marx provocando cataste immense di morti, l’ideologia scese fortunatamente a compromessi con la realtà: la diffusa corruzione dei funzionari e la tolleranza di un fiorente mercato nero furono i due fattori correttivi del sistema che permisero alle popolazioni di sopravvivere. Per questa ragione il leninismo, lo stalinismo e il maoismo vanno probabilmente considerati come applicazioni più o meno moderate dei dettami del socialismo scientifico: dei “marxismi dal volto umano”.
L’unico caso storico in cui tutte le condizioni richieste da Marx per l’esistenza della società comunista furono messe in pratica con la massima coerenza è stato probabilmente quello della Cambogia dal 1975 al 1979. Poiché le troppe tracce borghesi rimaste rendevano evidente la lontananza tra le realizzazioni dei regimi comunisti esistenti e l’ideale marxiano, i khmer rossi giunsero alla conclusione, condivisa da plaudenti schiere di intellettuali occidentali di sinistra, che russi e cinesi avevano fallito a causa della loro eccessiva moderazione, e che le indicazioni contenute nei testi di Marx e di Engels dovevano essere applicate senza compromessi.
Per farla finita una volta per tutte con la divisione del lavoro si fece di ogni cambogiano un contadino costretto al lavoro forzato; la differenza tra città e campagna venne superata deportando l’intera popolazione urbana nelle campagne; la contraddizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale venne risolta mediante la soppressione fisica degli intellettuali; l’uguaglianza tra lavoratori intellettuali e manuali venne realizzata attraverso l’uccisione in massa di coloro che sapevano leggere o che portavano gli occhiali; la proprietà privata, la moneta e gli scambi furono completamente aboliti; le sovrastrutture religiose e tradizionali vennero distrutte eliminando fisicamente coloro che avessero avuto la coscienza ancora inquinata da tracce del mondo precedente. Il risultato, come si sa, fu uno dei più crudeli genocidi della storia, che condusse alla tomba almeno un terzo della popolazione cambogiana.
La morale è chiara: i governanti comunisti sono stati tanto più dispotici quanto più cercavano di avvicinarsi al modello puro di comunismo prefigurato da Marx. «La nozione prevalente che il comunismo marxiano rappresenti un glorioso ideale umanitario pervertito dal tardo Engels, da Lenin, o da Stalin può ora essere posta nella giusta prospettiva. Nessuno degli orrori commessi da Lenin, Stalin o da altri regimi marxisti-leninisti – conclude Rothbard – può essere paragonato alla mostruosità dell’ideale comunista di Marx». È difficile credere che questo ideale abbia ancora qualcosa da insegnare agli uomini del XXI secolo.
Saggi e Studi
by Guglielmo Piombini
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Editore (Leonardo Facco Editore e Tramedoro), scrittore, saggista, studioso di Liberalismo e Scuola Austriaca di Economia.