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Disinformazione progressista

Disinformazione progressista

Perché penso che (anche) i democratici, i progressisti e i liberal e i loro media di riferimento stiano informando male e in modo distorto il proprio pubblico? Ecco alcuni motivi.

 

La violenza della polizia sui neri: a quanto pare i media hanno informato gli americani in modo molto maldestro, visto che l’intero spettro politico ha un’idea completamente sbagliata – e di molto – del fenomeno e sovrastima enormemente il numero di neri disarmati uccisi dalla polizia, e il numero di neri morti in sparatorie con la polizia. Questo è il risultato di mesi in cui media, politica, e organizzazioni come BLM, hanno messo questo problema al centro della loro attenzione: un disastro.

 

L’insurrezione di Capitol Hill: un tumulto è stato raccontato come un tentato colpo di stato e un’insurrezione armata, con una serie di notizie false a supportare il racconto. Dall’accusa senza fondamento di aver ucciso un poliziotto colpendolo in testa con un estintore, a quella di un’azione pianificata da tempo, a quella secondo cui ci sarebbero stati dei gruppi intenzionati a rapire i parlamentari, ad altre ancora. Questo in un momento in cui si promuove una vasta censura contro i conservatori, i libertari, ma anche tutti i non allineati in generale, probabilmente incostituzionale, una legge anti terrorismo domestico, un attacco senza precedenti al secondo emendamento e si è militarizzato Washington per sicurezza. Poiché tutto questo è alimentato dal modo in cui politici dem e media descrivono i sostenitori e gli elettori di Trump e le loro gesta e i conservatori e i libertari in generale, presentarne una descrizione distorta demonizzandoli e criminalizzandoli, equivale a gettare benzina sul fuoco, e fa gioco ad un preciso disegno politico.

 

Il Russia Gate era una teoria complottista senza fondamento:

 

Ricordiamo che la demonizzazione è partita presto, non solo tramite false notizie dentro a una cornice di verità (il tumulto a Capitol Hill c’è stato), ma anche attraverso vere e proprie teorie complottiste al limite dell’assurdo. Se a destra troviamo Qanon, anche la sinistra ha le sue. Per es il Russia Gate, il Russia Gate, il Russia Gate e il Russia Gate. E ricordiamo che c’è stato anche qualche politico democratico che ha paragonato questi “fatti” a Pearl Harbor e ha invocato interventi militari contro la Russia.

 

La censura dello scoop su Biden appena prima delle elezioni:

Il New York Post ha pubblicato quello che riteneva uno scoop su Biden. La reazione dei media e dei social è stata serrare i ranghi per censurarlo. Al punto che Gleen Greenwald giornalista premio Pulitzer si è dimesso da The Intercept, giornale di cui era co fondatore, in polemica perché non gli è stato permesso di pubblicare ciò che voleva su questo caso. Tutto considerato l’interpretazione data dal New York Post stesso ha senso: avrebbe danneggiato il loro candidato, visto che social e stampa mainstream erano apertamente a favore di una censura politicamente schierata. Di sicuro questo è un esempio che mostra come la valutazioni su cosa sia una fake news, cosa uno scoop, cosa sia degno di pubblicazione, sono varie e diversificate.

 

Contestazioni elettorali – doppiopesismo:

 

I democratici nel 2016 dissero che Trump aveva rubato le elezioni e che non lo riconoscevano come legittimo presidente. Dopo le elezioni del 2016, da sinistra sono venuti tentativi di rovesciare il risultato, per es. attraverso i riconteggi e vi sono stati episodi di intimidazione dei membri del Collegio Elettorale.  Molti altri di sinistra hanno trascorso i tre anni successivi cercando di delegittimare il risultato spingendo una teoria del complotto infondata secondo la quale i russi avevano aiutato a rubare le elezioni per Trump.  Alcuni hanno lavorato all’impeachment di Trump prima ancora che prestasse giuramento, e hanno passato tutta la sua amministrazione a cercare pretesti per farlo.  Alcuni avvertivano oscuramente della possibilità di futuri brogli elettorali attraverso macchine per il voto hackerate, proprio come alcuni a sinistra avevano insistito che George W. Bush avesse rubato le elezioni del 2004 con tali mezzi.  Quando sollevare dubbi poteva avvantaggiare i candidati di sinistra, alcuni caratterizzavano i difetti del sistema di voto come “sbalorditivi, anzi una “crisi per la democrazia americana, e mettevano in dubbio i software delle aziende che producono le macchine per votare.  Alcuni hanno insistito che l’elezione del governatore della Georgia del 2018 è stata “rubata” a Stacey Abrams.  Hillary Clinton ha detto, prima delle recenti elezioni presidenziali, che Joe Biden “non dovrebbe concedere in nessun caso” se la differenza sarà poca.

 

Ma ora è inaccettabile sollevare dubbi sulle elezioni, sui sistemi di voto, sui software per i conteggi dei voti, etc..? A me pare una presa per i fondelli. Quando tante persone non sono convinte dell’attendibilità del risultato forse si dovrebbe rassicurarle non deriderle, demonizzarle e criminalizzarle. Di sicuro questo non è un modo di convincerle che le elezioni siano state regolari. Ma è un comportamento sensato se non vuoi unire, ma dividere e polarizzare, che è un po’ quel che sembra si voglia fare, unendo i puntini di quanto scritto fin qui.

 

Contestazioni elettorali – forzature: Lasciando perdere le accuse di brogli sollevate da Trump, quello che hanno raccontato i Dem stessi al Time, pur essendo immagino formalmente legale, è sufficiente per far alzare un sopracciglio. Riassume James Bovard:

 

La rivista Time ha recentemente rivelato “la storia segreta delle elezioni del 2020” – “una cabala ben finanziata di persone potenti… che lavorano insieme dietro le quinte per… cambiare regole e leggi” per “fortificare” la democrazia. Funzionari del partito democratico e funzionari della commissione elettorale nominati dai democratici hanno modificato le leggi statali per riscrivere le regole per le elezioni del 2020 in diversi stati “in bilico”.

Un documento depositato presso la Corte Suprema a dicembre dallo stato del Texas ha notato che “il Segretario di Stato del Michigan, Jocelyn Benson, senza approvazione legislativa, ha abrogato unilateralmente gli statuti elettorali del Michigan relativi alle domande di voto per corrispondenza” inviando “domande non richieste di voto per corrispondenza a tutti i 7,7 milioni di elettori registrati del Michigan… senza verificare le firme degli elettori come richiesto” dalla legge statale. L’impatto è stato aggravato quando i funzionari democratici nella contea più popolosa dello stato (compresa Detroit) “hanno preso la decisione politica di ignorare i requisiti della legge del Michigan per la verifica delle firme per i voti per corrispondenza”. Altrove, la Commissione elettorale del Wisconsin ha approvato la creazione di 500 urne “Ballot drop” nelle principali città democratiche, in violazione della legge del Wisconsin.

Giudici nominati politicamente hanno effettivamente ribaltato la legge statale imponendo nuove procedure elettorali in diversi stati. In Pennsylvania, la Corte Suprema dello stato ha invocato una frase vaporosa nella costituzione dello stato – “Le elezioni saranno libere ed eque” – per giustificare l’invalidazione di una legge statale che proibiva il conteggio delle schede elettorali per corrispondenza arrivate dopo il giorno delle elezioni; i giudici hanno persino ordinato di includere le schede in ritardo che arrivano senza timbro postale. Una disposizione simile è stata annullata il 27 gennaio da una corte di circuito della Virginia che ha rovesciato il decreto del Virginia Board of Elections che permetteva il conteggio delle schede postali arrivate tre giorni dopo le elezioni senza timbro postale.

 

Questa è una cosa che accade regolarmente anche in Italia, chi può cerca di alterare leggi e procedure di voto in proprio favore prima delle elezioni. Ed è una pratica universalmente definita indecente. Naturalmente si può speculare sulla bontà di questi cambi e la loro giustificazione, nessuna forza politica dirà mai “sì, sto cercando di fregarmi le elezioni”. In occasione di una pandemia potrebbe dire che sta aggiornando le procedure alle mutate condizioni in cui gioco forza si vota. Tuttavia non è irragionevole alzare un sopracciglio o due. Dipingere come folle chi lo fa, considerando che prima ci sono stati episodi come il Russia Gate e la censura dello scoop su Biden invece è una forzatura e una forma di demonizzazione dell’avversario.

 

La questione dei neri e le accuse di razzismo:

 

Le proteste seguite all’uccisione di Floyd hanno dato il via a un discorso pubblico sulle questioni che riguardano le condizioni dei neri in America, su cui c’è molto da dire. Abbiamo già visto che i media hanno male informato gli americani, dando loro un’idea molto sovra dimensionata del problema. Ma metto ora in luce alcuni altri problemi:

 

L’abuso di un linguaggio incendiario:

 

Nel 2019 sono stati uccisi tra 13 e 27 neri disarmati dalla polizia. La popolazione totale di neri negli USA supera i 40 milioni. A fronte di queste dimensioni del fenomeno, si è diffuso un linguaggio incendiario, che ha certamente contribuito a una percezione distorta e sovra stimata.

 

L’avvocato di George Floyd, scrivendo sul Washington Post l’anno scorso, ha parlato di genocidio. E si badi, usa la parola genocidio in relazione ai neri uccisi dalla polizia, non ad altro. Ma non è stato il solo, c’è chi ci ha scritto un libro e ci ha tenuto a rimarcare che l’uso del termine “genocidio” non è provocatorio.  È il caso di Ben Crump su The Guardian.

 

Ora a me non sembra un genocidio. Un po’ per i numeri che non tornano per parlare di genocidio. Ma non solo per quelli.

 

La definizione di genocidio parla di “atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Questo è diverso dal dire atti commessi sulla base di pregiudizi razzisti o odio verso un particolare gruppo etnico. Un atto razzista, compiuto per odio e pregiudizio verso una certa etnia, non è di per sé genocida.

 

Che in America ci sia una diffusa intenzione di distruggere, in tutto o in parte i neri non sta in piedi. Nemmeno che questa intenzione sia diffusa in campo conservatore o repubblicano, o tra i bianchi non progressisti. Ci saranno sicuramente sacche di razzismo in varie forme – e mica solo contro i neri – ma l’intenzione di distruggere in tutto o in parte i neri o gli afro americani è una teoria del complotto di quelle veramente estreme.

 

I nazisti compirono un genocidio verso gli ebrei. L’antisemitismo e vari episodi di violenze motivate dal razzismo contro gli ebrei erano presenti in tutta Europa, ma quello che fecero i nazisti fu diverso e merita il nome di genocidio, perché fu un vero tentativo di sterminare gli ebrei. Per quanto sia un terreno delicato, onestamente c’è una “leggera” differenza.

 

Qui c’è una lista di genocidi compilata da Wikipedia. Anche se in fondo alla lista i numeri delle morti si fanno bassi, sono diversi da quelli dei neri uccisi dalla polizia per due aspetti: costituiscono una percentuale enormemente maggiore sul totale della popolazione in questione, e sono parte di un vero e proprio tentativo di eliminare quella popolazione. Il genocidio dei Moriori ha comportato meno di duemila vittime, ma “Il 95% della popolazione Moriori fu sradicata dall’invasione da Taranaki, un gruppo di persone provenienti dagli iwi Ngāti Mutunga e Ngāti Tama. Tutti furono ridotti in schiavitù e molti furono cannibalizzati. La lingua Moriori è ora estinta.”

 

Oggi, non stiamo parlando di linciaggi a furor di popolo. Ma di persone nere disarmate uccise dalla polizia. Tra queste persone ci saranno sicuramente persone uccise in circostanze incresciose ma in cui la polizia ha agito in buona fede, incidenti e casi in cui il poliziotto stesso era nero. Inoltre la polizia viene indagata e può finire sotto processo per questi casi. Le differenze sono enormi. È vero che i sindacati della polizia si mettono di traverso, ma questa è una tipica battaglia liberal libertaria, mentre i progressisti sono spesso i promotori di varie forme di corporativismo che comprendono anche i sindacati.

Parlare di genocidio significa usare un linguaggio incendiario, senza badare alla realtà dei fatti. Non si fa altro che elencare casi di cronaca e suggerire che la conclusione è auto evidente e chi lo nega è razzista, anzi “genocida”. È lo stesso gioco fatto da chi elenca tutti i fatti di cronaca nera in cui sono coinvolti immigrati e poi ne estende il biasimo a tutti gli immigrati, milioni di persone.

  

Un uso falso e parziale dei numeri

 

Prendiamo l’ultimo paragrafo dell’articolo linkato sopra di Crump che nota come i neri siano “il 13% della popolazione, ma il 27% di tutti gli arresti, il 33% di quelli in carcere o in prigione e il 42% di quelli nel braccio della morte”. Questi numeri sono stati largamente usati non solo da Crump, ma ci si dimentica di notare che i neri non sono solo sproporzionatamente arrestati, ma anche sproporzionatamente coinvolti in crimini violenti, omicidi e sparatorie con la polizia. Perché questo accada è argomento di dibattito, e di certo non sto suggerendo che la spiegazione sia che sono geneticamente più criminali dei bianchi. Fatto sta che una maggior proporzione di arresti diventa perfettamente logica se si abbina a una maggior proporzione di crimini violenti.

 

Inoltre i neri non solo vengono arrestati di più e non solo sono coinvolti in più crimini violenti e omicidi, ma anche muoiono di più come vittime di crimini violenti. Una cosa terribile, ma è importante notare che l’88% di chi uccide un nero è nero. Quindi se vogliamo usare i numeri dei neri uccisi e il colore della pelle di chi li uccide come indicatori, la causa del “genocidio” nero in USA non è prima facie il razzismo. Nemmeno assumendo, come non si può assolutamente fare, che si possa attribuire d’ufficio una motivazione razzista a un bianco che uccide un nero. E la prima preoccupazione, o almeno la più diretta preoccupazione, che dovrebbero avere i neri non è di essere uccisi da un poliziotto bianco razzista, ma da un nero.

 

In realtà, i numeri da tenere presente per sviscerare l’argomento sarebbero molti e con molte possibili interpretazioni. Qui c’è un articolo del Washington Post che riunisce molto materiale interessante. Ma io qui non voglio arrivare al fondo della questione “Esiste un diffuso razzismo contro i neri in America?”. A me interessa sostenere la tesi che ho esposto, e a questo proposito, il fatto che spesso e volentieri si usino solo alcuni numeri e li si tratti come se parlassero da soli e non ci fosse niente da spiegare, è sufficiente. Se i numeri presi da soli e trattati come se fossero autoevidenti sono ok, allora basta citare il numero dei crimini violenti dei neri in rapporto alla loro percentuale di popolazione perché sia evidente che i neri sono criminali. Stessa solida evidenza.

  

Il razzismo nel caso Floyd e le accuse di razzismo lanciate in modo indiscriminato contro tutti

 

L’impressione, supportata dai fatti elencati, è che in realtà non si cerchi una solida evidenza, perché si da per scontato che le cose siano così come si dice che sono, e mettere in questione il racconto è già segno di razzismo o di terrapiattismo. Una sorta di comma 22, insomma. Prendiamo il caso che ha fatto scoppiare le proteste: l’uccisione di George Floyd. Esattamente come è stato provato il razzismo del poliziotto che lo ha ucciso?

 

Una volta ho discusso con una donna che sosteneva che un certo caso di cronaca fosse un caso di razzismo di un nero contro i bianchi. Un nero drogato all’impossibile aveva ucciso il bambino bianco dei vicini, senza apparente motivo. Da questo la donna deduceva che il movente era il razzismo. Io le spiegavo che il razzismo se l’era inventato di sana pianta sulla sola base del colore della pelle e che la spiegazione più semplice era che non capendo più niente per le droghe avesse compiuto il delitto perché completamente fuori di testa. E che comunque non potevamo attribuire una motivazione sulla sola base del colore della pelle e piuttosto avremmo dovuto dire che non la sapevamo. Quale è stata la ragione per attribuire una motivazione razzista all’agente che ha ucciso Floyd? Il colore della pelle, e il “lo sanno tutti la polizia è razzista”. Per quanto ne so, il razzismo non è stato provato in modo specifico in questo caso.

 

Anche se potessimo dire che in generale molti poliziotti sono razzisti, non si può logicamente passare da qui all’accusa di razzismo verso una singola persona in un singolo caso. Si tratta di una mera supposizione. Figuriamoci se si può passare da qui e da altri episodi come questi, ad accusare di razzismo ogni singolo uomo bianco! Eppure è quello che in molti fanno. Un libro come “White fragility”, dovrebbe essere considerato irricevibile, o almeno altamente problematico, invece è stato largamente celebrato. E questi sono solo alcuni esempi, chiunque non sia vissuto in fondo al mare, può avere in mente facilmente decine o centinaia di occasioni e di modi in cui si usano queste accuse in modo spregiudicato e indiscriminato.

  

Una narrazione faziosa, centrata sul colore della pelle e sulla cancellazione di importanti pezzi della storia

 

Scrive il filosofo anarco capitalista Huemer:

 

Tuttavia, i neri costituiscono meno di un quarto – sono solo il 13% circa – della popolazione totale degli Stati Uniti. Quindi sono sovra-rappresentati tra le vittime delle sparatorie della polizia. Questa è la principale prova addotta riguardo al razzismo. Se i neri fossero il 13% delle vittime nelle sparatorie con la polizia, allora presumibilmente non attribuiremmo ad essa un pregiudizio razziale. Quindi il pregiudizio razziale viene invocato per spiegare questo eccesso del 12% nelle vittime di sparatorie. L’altro 88% è dovuto a qualcos’altro. C’è qualcosa di strano nel rispondere alla notizia che la polizia compie 1.000 omicidi all’anno dicendo: “Dobbiamo impedirne uno su otto!”

 

Il problema delle violenze della polizia in USA è noto e documentato. Non riguarda solo i neri. E dovrebbe essere risolto per tutti. Ma cosa diremmo se si sviluppasse un movimento centrato solo, o praticamente solo, sulle violenze della polizia contro i bianchi? Lo accuseremmo di razzismo per aver dimenticato i neri, gli ispanici, i cinesi, gli indigeni, etc..  Il problema da affrontare è che i poliziotti maltrattano i cittadini, quali che siano le loro motivazioni razziste o meno. E se un gruppo è più maltrattato di altri beneficerà più di altri dei rimedi al problema generale.

 

Intorno a questo esiste un enorme consapevolezza tra libertari e conservatori. Si pensi al Free Thought Project, al Rutherford Institute, a tutti gli interventi in materia di Ron Paul, o a quelli di Andrew Napolitano, o alle tante puntate dedicategli dal Tom Woods Show. Si pensi a come il tema sia regolarmente affrontato su tutte le principali riviste, blog, rassegne sul tema, da Lew Rockwell a Reason, dal Cato al Libertarian Institute, dall’AIER alla The Future of Freedom Foundation. Si pensi a proposte di legge come questa. O si pensi a civil libertarians come Gleen Greenwald.

 

I conservatori sono i difensori della Costituzione e dei diritti dei cittadini che essa difende, da sempre sospettosi e ostili al centralismo e al governo federale, sebbene abbiano un approccio non libertario su diversi temi – droga, prostituzione, pornografia, libertà sessuale – sono convinti difensori dei diritti individuali dei cittadini. Uno può essere tranquillamente convinto che sotto la Costituzione difendere i diritti individuali dei cittadini voglia dire difenderli per tutti neri compresi. Immagino sia per questo che ci sono milioni di neri e marroni che sono anche conservatori: sono tutti degli zio Tom?

 

I libertari non solo sono “ostili” al governo federale, ma sono i più accaniti sostenitori di diritti individuali che vanno persino oltre la Costituzione e il Bill of Rights. Sono per la decriminalizzazione di tutte le droghe e quindi la fine immediata della guerra alla droga. Fatto che da solo risolverebbe gran parte dei problemi elencati da Crumb.

 

I media hanno davvero raccontato che ben prima del caso Floyd c’era chi da decenni si batteva contro le violenze della polizia? Hanno reso giustizia alle loro proposte, alle loro battaglie, alle loro esperienze? Francamente non mi pare. Paul Waldman, che è un editorialista liberal progressista, sul Washington Post si chiedeva già ai tempi della strage di Ferguson “Perché i libertari non parlano di Ferguson?”. Qui un altro esempio da Twitter.

 

Ma perché in presenza di un movimento trasversale agli schieramenti da tempo impegnato sul tema della lotta alle violenze della polizia, e contrario alla guerra alla droga, con anni di documentazione di episodi, esperienze, proposte, etc.. non lo si vuole valorizzare?

 

Ho diverse ipotesi o impressioni in proposito. Forse da sinistra non si vuole presentare il tema come trasversale, perché si preferisce una narrazione che vede a sinistra le persone buone e civili e a destra i maniaci legge e ordine e i razzisti. Valorizzare libertari, libertari civili e conservatori impegnati nella battaglia vuol dire sputtanare questo manicheismo. È qualcosa che non collima con la demonizzazione di trumpiani, conservatori e libertari. Forse da sinistra si vuole presentare a tutti i costi il tema legandolo all’anti capitalismo e ad altri punti di una narrazione che non sarebbe condivisa dagli altri. Forse non si vuole legittimare degli avversari politici con cui su molto altro c’è un ampio dissenso. Forse si vuole per forza legare il tema delle violenze della polizia a una interpretazione razzista, che rientra bene in una narrazione più generale. Forse sarebbe contraddittorio col fatto che da più parti si presentano i libertari come, poco ci manca, gli eredi del KKK. D’altronde a sinistra i libertari non godono di buona stampa.

 

Sono gli stessi che dicono che non dobbiamo generalizzare parlando di crimini degli immigrati. O che dobbiamo essere empatici e aperti alla diversità. O che stigmatizzano la “politica della paura”. O che insistono che per capire le minoranze, i neri, le donne, i gay, i trans, dobbiamo innanzitutto ascoltare la loro voce e credergli perché da maschi, bianchi, etero non possiamo capire la loro esperienza. Ma poi generalizzano allegramente sui loro avversari politici e sui bianchi. Odiano e censurano la diversità ideologica. Demonizzano i propri avversari e usano esattamente la stessa politica della paura contro di loro.

 

Trump avrà detto qualche frase razzista da persona che ha spesso aperto la bocca prima di collegarla al cervello e che ha spesso avuto atteggiamenti da prepotente e da sbruffone, ma ci sono tutta una serie di passaggi dal dire qualche frase razzista, all’essere razzista, al vedere il razzismo come la cifra della sua campagna, o la motivazione per i suoi provvedimenti, al ritenere razzisti tutti i suoi elettori, e così via, che non dovrebbero essere dati per scontati, e che quando vengono dati per scontati sono semplicemente segno di un pregiudizio. Pensare di portare qualche frase contro i messicani, o qualche provvedimento di legge marginale che può essere interpretato anche in modo razzista, come la prova che la cifra di Trump, della sua azione politica, e dei suoi elettori sia il razzismo è assurdo. D’altronde questo è il passato di Kamala Harris e questo quello di Biden: stranamente loro sono credibili come progressisti e amici delle minoranze..

 

Comunque se si possono citare leggi come il Muslim Ban (che non è automaticamente classificabile come motivato dal razzismo se riguarda dei paesi che pongono oggettivamente dei rischi) o l’esclusione dei trans dall’esercito (un provvedimento che sarà transfobico nelle intenzioni, ma rappresenta un fatto positivo per i trans), si possono citare anche leggi che hanno portato avanti una corretta idea di non discriminazione legale e di giusto processo, che corrispondono all’ideale di color-blindness di Martin Luther King  e a normali istanze garantiste e di rispetto dei diritti degli imputati. Anche queste sono paradossalmente accusate di razzismo e di sessismo.

 

La questione del carcere e della droga

 

Nel suo ultimo paragrafo Crumb scriveva:

 

Considerate il danno generazionale dell’incarcerazione dei neri, che costituiscono solo il 13% della popolazione, ma il 27% di tutti gli arresti, il 33% di quelli in carcere o in prigione e il 42% di quelli nel braccio della morte. Vediamo il genocidio nelle generazioni di famiglie nere che sono state distrutte economicamente e psicologicamente da un sistema giudiziario che ha incarcerato neri poveri per aver usato cocaina o crack, mentre tirava al massimo un buffetto ai professionisti bianchi che usavano cocaina nella sua forma in polvere bianca. 

 

Che il sistema pesi ingiustamente più sui neri che sui bianchi è riconosciuto trasversalmente ed anche dai libertari, si veda qui e qui.

 

Ron Paul ha dichiarato nel 2012:

 

“Il vero razzismo in questo paese è nel sistema giudiziario. La percentuale di persone che fanno uso di droghe è circa la stessa tra i neri e i bianchi. Eppure i neri vengono arrestati in modo sproporzionato. Sono perseguiti e imprigionati in modo sproporzionato, ricevono la pena di morte in modo sproporzionato. Quante volte avete visto un bianco ricco finire sulla sedia elettrica o essere giustiziato? Se vogliamo veramente preoccuparci del razzismo, dovremmo guardare ad alcuni di questi problemi e guardare le leggi sulle droghe, che sono applicate in modo così ingiusto.”

 

Come Crumb, Ron Paul cita i reati legati alla droga e il tasso sproporzionato con cui vengono imputati ai neri e la maggiore severità di trattamento. Ma al contrario dei libertari, i liberal progressisti hanno mai fatto una vera battaglia libertaria contro la guerra alla droga? No. Quando si è tornato a mettere a fuoco il problema delle violenze della polizia si sono concentrati su due temi: il razzismo e l’anti capitalismo.

 

La tesi portata avanti è che la spiegazione sia il razzismo e che il razzismo sia endemico e strutturale negli USA e nel capitalismo. Ma se gran parte dei neri uccisi (innocenti o meno, da bianchi o meno) o incarcerati è legata alla droga, una tesi molto più sensata è che anziché combattere il capitalismo tout court sarebbe meglio combattere la guerra alla droga. Che la spiegazione della disparità di trattamento sia il razzismo, o altro (e immagino possa essere a volte una cosa e a volte un’altra), azzerare la guerra alla droga e legalizzare le droghe, ridurrebbe drasticamente il problema a prescindere.

 

Chi non è della tribù progressista viene censurato

 

Due dei più importanti autori sul tema dell’economia delle discriminazioni delle minoranze sono neri e conservatori. Thomas Sowell e Walter E. Williams, sono autori famosi e riconosciuti, che hanno molto da dire sul tema della discriminazione dei neri, tema di cui si sono da sempre occupati con una infinità di articoli, ricerche e libri. Naturalmente non è detto che abbiano ragione. Ma sono certamente due autori di enorme spessore, dei giganti con cui non ci si può non confrontare e in più sono anche neri. Ciò nonostante vengono tranquillamente censurati.

 

Come racconta Richard Ebeling:

 

Il 5 giugno 2020, l’American Economic Association (AEA), la principale organizzazione tra gli economisti negli Stati Uniti, ha rilasciato una dichiarazione dicendo che era tempo che i funzionari e i comitati di governo all’interno dell’Associazione esaminassero il razzismo e le pratiche e le presunzioni razziste all’interno della professione. È stato sottolineato che mentre i neri americani costituiscono il 13% della popolazione della nazione, solo il 3% degli economisti che sono membri dell’AEA si identificano come neri, e il 47% di quelli intervistati ha detto di aver sperimentato casi di discriminazione all’interno della professione.

 

La dichiarazione dell’AEA ha promesso che l’associazione avrebbe “investito in programmi, politiche e pratiche per portare studenti dei gruppi sottorappresentati nelle discipline economiche e di sforzarsi di creare una cultura di inclusione nelle aule, nei curricula, nella ricerca e nei posti di lavoro”.

 

La dichiarazione incoraggia anche gli economisti “a cercare le borse di studio esistenti su questioni come la razza, l’economia della stratificazione e gli argomenti correlati”. Per iniziare questo processo, l’AEA si è impegnata nella compilazione di una lista di letture sul razzismo e le esperienze dei neri americani. Lo scopo è quello di incoraggiare l’integrazione di tali opere e dei loro diversi autori nei programmi dei corsi di economia. Chiedono agli economisti membri di “impegnarsi” a farlo. Questo sarebbe necessario “per capire meglio il razzismo, una parola che appare raramente nelle nostre riviste professionali, e come porre fine al suo impatto sulla nostra economia”. Inoltre, l’AEA incoraggerà le presentazioni alle riviste dell’associazione “che affrontano aspetti del razzismo e dell’economia”.

 

La lista di lettura iniziale compilata e raccomandata dall’AEA per iniziare questo processo grida vendetta per la notevole assenza di un certo numero di autori e delle loro opere che sono apparse nel corso dei decenni proprio sulle questioni di razza, razzismo e discriminazione economica. Per esempio, non c’è menzione di The Economics of Discrimination (1957) di Gary Becker, o dell’acuto capitolo su “Capitalismo e Discriminazione” in Capitalism and Freedom (1962) di Milton Friedman, o dello studio di William H. Hutt sulla segregazione razziale in Sud Africa, The Economics of the Color Bar (1964).

 

Questi scrittori potrebbero essere messi da parte perché, dopo tutto, sono dei DWM – Dead White Males. Ma che dire di certi altri economisti che provengono dalla comunità nera degli Stati Uniti? Non c’è nessuna raccomandazione ai membri interessati e “promettenti” dell’AEA per leggere The State Against Blacks (1982) di Walter E. Williams o South Africa’s War Against Capitalism (1989, 2nd ed., 1990) o Race and Economics: How Much Can be Blamed on Discrimination? (2011).

 

E certamente non c’è raccomandazione di leggere nessuna delle opere di Thomas Sowell, che ha dedicato buona parte della sua vita accademica e professionale alle questioni e ai problemi che circondano la razza e la discriminazione sia negli Stati Uniti che nel mondo. Per citare solo alcune delle sue numerose opere specificamente su questo tema: Race and Economics (1975), Markets and Minorities (1981), Ethnic America: A History (1981), The Economics and Politics of Race (1983), Preferential Policies (1990), Race and Culture (1995), Migrations and Cultures (1996), Conquests and Cultures (1998), Affirmative Action Around the World (2004), Black Rednecks and White Liberals (2005), Intellectuals and Race (2013), Wealth, Poverty and Politics (2016), e Discrimination and Disparities (2018, revised ed., 2019).

 

Questi autori, e altri come loro, sono apparentemente delle “non-persone” orwelliane, spazzate via dalla comunità economica e accademica dall’AEA per il loro fallimento nell’adattarsi al profilo politicamente corretto e di politica identitaria che è richiesto per essere considerato uno studioso rilevante per le questioni e i problemi della razza e del razzismo in America.

 

Con questo si rafforza l’idea che la questione del razzismo sia strumentalizzata, per farne un attacco al capitalismo, discriminando tutti quegli autori che si sono occupati del tema – persino se neri – quando l’abbiano fatto con una diversa chiave interpretativa. La colpa di Walter E. Williams e Thomas Sowell e non solo loro è di essere convinti liberalconservatori.

 

A me non pare emerga uno sforzo onesto di combattere le violenze della polizia, il problema degli omicidi o quello del gran numero di neri incarcerati. Né uno sforzo onesto di affrontare il tema della discriminazione.

  

Gli attacchi da sinistra contro gli ospiti non allineati nei campus e in generale la “cancel culture”:

 

Il database di FIRE raccoglie gli episodi in cui si verificano tentativi di impedire a determinati ospiti di parlare nei campus universitari americani, da destra e da sinistra. Questi sono i dati degli ultimi anni:

 

Presidente – anno – episodi da destra – episodi andati a buon fine – episodi da sinistra – episodi andati a buon fine – totale

OBAMA-2010: 3 da destra, 13 da sinistra

OBAMA-2011:  7 da destra 13 da sinistra

OBAMA-2012:  6 da destra 12 da sinistra

OBAMA-2013: 9 da destra 20 da sinistra

OBAMA-2014: 4 da destra, 1 sì, 22 da sinistra – totale 29

OBAMA-2015: 9 da destra, 4 sì, 14 da sinistra, 4 sì – totale 24

TRUMP – 2016: 5 da destra, 1 sì, 35 da sinistra, 20 sì – totale 43

TRUMP – 2017: 7 da destra, 5 sì, 34 da sinistra, 19 sì – totale 44

TRUMP – 2018: 4 da destra, 2 sì, 12 da sinistra, 7 sì – totale 18

TRUMP – 2019: 12 da destra, 3 sì, 20 da sinistra, 10 sì – totale 40

TRUMP – 2020: 3 da destra, 1 sì, 15 da sinistra, 6 sì – totale 21

 

Sia questi dati, sia i molti episodi raggruppabili sotto l’etichetta di “cancel culture” sono indice di una crescente intolleranza e aggressività verso i propri avversari politici, in particolare da sinistra verso destra, al contrario di quanto dice la vulgata main stream.

  

Le spiegazioni e le soluzioni alternative non vengono presentate in modo che resti una sola narrazione:

 

Promuovere battaglie contro la violenza della polizia, contro l’impunità di chi commette violenze, contro la guerra alla droga, di per sé, senza farne una questione di colore della pelle, potrebbe unire in modo trasversale agli schieramenti politici e alle divisioni etniche. Sull’opposizione alla guerra e all’interventismo militare questo già in parte avviene: si pensi a come Antiwar, co-fondato dal paleo libertario gay Justin Raimondo, già unisca persone di ogni segno politico..

 

Non una cosa che tutti apprezzino. Molti scelgono di estrapolare dalla questione “violenze della polizia contro i cittadini”, la questione “violenze della polizia contro i neri” e legarla al razzismo e al sistema capitalista. Chi guarda le cose da un punto di vista liberale o libertario lega il problema a questioni come la guerra alla droga, la militarizzazione della polizia e l’imperialismo. Temi su cui parte del Partito Democratico, e dei media liberal e i progressisti come il New York Times – al contrario della sinistra più a sinistra – fanno fatica a convenire, anche solo perché hanno posizioni fortemente a favore dell’interventismo militare, hanno sostenuto la balla delle armi di distruzione di massa e hanno appoggiato provvedimento come il Patrioct Act.

  

Ma non finisce qui: oltre alle cause già elencate per liberali e libertari responsabili delle condizioni che sfavoriscono i neri sono anche moltissime regolamentazioni statali. In particolare le leggi sull’urbanistica, le leggi sulle licenze, le leggi sul salario minimo, e da ultimo il lockdown stesso, e poi moltissimi altri tipi di interventi statali, welfare compreso. Se questa interpretazione è giusta, i provvedimenti recenti di Biden, i suoi ordini esecutivi e le proposte che sta portando avanti, saranno negativi per la comunità nera, visto che Biden ha immediatamente cancellato i provvedimenti precedentemente adottati da Trump per ridurre le regolamentazioni e per assicurare un processo di regolamentazione trasparente nei confronti dei cittadini e oculato dal punto di vista costi / benefici. Così come i vandalismi e i saccheggi di Antifa e BLM non hanno fatto certo bene ai quartieri di periferia e a chi ci vive.

 

I media main stream hanno coperto in modo parziale la questione, mancando di mettere in luce anche quello che liberali, conservatori e libertari avevano da dire sul tema. Il fatto è che da sempre questi hanno un approccio che prevede di aggredire i problemi in termini di diritti del cittadino, uguaglianza davanti alla legge, riconoscimento dei diritti individuali, protezione della proprietà privata. Un framework che certamente fa sì che inquadrino il tutto in modo diverso e propongano soluzioni non stataliste e non anti capitaliste. Siccome bisogna far passare la narrazione secondo cui il problema è il razzismo, il razzismo è endemico al capitalismo, tutti i bianchi sono razzisti e in particolare tutti i sostenitori e gli elettori di Trump, i conservatori, i libertari, i liberali e i battitori liberi come Greenwald e Taibbi sono un concentrato di razzismo e xenofobia, le spiegazioni e le soluzioni alternative non vengono presentate in modo che resti sul campo una sola narrazione.

 

Non solo i liberal progressisti non hanno valorizzato le battaglie di conservatori e libertari sui diritti individuali, per il rispetto della costituzione e contro la militarizzazione della polizia, contro il Patrioct Act, contro il proibizionismo sulle armi, contro la guerra alla droga, contro l’interventismo militare, contro la criminalizzazione di reati senza vittime e in generale per la riduzione del governo e dello Stato – che significherebbe una riduzione dell’uso della forza da parte dello Stato e quindi una riduzione dei motivi per cui si può avere a che fare con la polizia e una riduzione dei motivi per cui si può finire in carcere o peggio. Ma al contrario stanno attualmente sostenendo un incremento dell’intervento statale, con provvedimenti sulla censura, il sequestro delle armi, leggi speciali anti terrorismo, salario minimo ed altri. I media, poiché sopprimono le spiegazioni di stampo liberale, conservatore o libertario, per promuovere la narrativa unica a base di razzismo e anti capitalismo, non hanno promosso una discussione su come tutti questi provvedimenti potrebbero pesare negativamente sulla comunità nera. Dal che a me non sembrano promuovere una informazione e una discussione onesta sul tema.

 

Come minimo esiste una narrazione alternativa che viene liquidata negandola, distorcendola, criminalizzandola e censurandola, la cui dignità andrebbe riconosciuta, la cui esistenza da sola smentisce il racconto che da sinistra si fa della destra liberale, libertaria, conservatrice, trumpiana.

 

Ma i progressisti sono determinati a sostenere una caccia alle streghe andando a scovare il nemico ovunque, compreso in stanze private di Clubhouse sotto falso nome, su qualsiasi app si vada a nascondere (es. Gab e Parler) e persino su Substack.

 

Editoriali

by Autori Vari

Lo Stato produce statalismo

Immaginiamo di creare un nuovo apparato X con il compito di occuparsi del problema X. 

Allochiamo un budget, delle risorse, un certo numero di impiegati, stabiliamo obiettivi e norme e regole su come deve operare, etc..

Quale è l’esito che ci segnalerà l’apparato X più probabilmente dopo un anno?

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Pietro Agriesti

Coordinatore sezione Attualità

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