
Ma Facebook è un privato?

Tutti (aka tutta la mia bolla di Facebook) a chiedersi, in seguito alle ultime vicende, ma Facebook è un privato? E c’è chi dice no, e c’è chi dice si. Ma in realtà entrambe queste risposte sono una forzatura, fatta per far tornare un discorso a prescindere. Facebook è un ibrido.
Come ha scritto Fabristol è indisputabile che i social e le Big Tech collaborino con lo Stato nel sostenere la sua propaganda e nel fornire i dati degli utenti:
“La NSA ha accesso a tutti i dati dei social media provider grazie a PRISM, un programma di sorveglianza voluto da Bush, un programma di spionaggio globale che registra qualsiasi conversazione che avviene su internet. Questo programma fu poi riconfermato da Obama nel 2012. Fu grazie a Edward Snowden che sappiamo di PRISM ed e’ il motivo per cui ora vive in Russia in esilio. Le compagnie, volenti o nolenti, sono quindi obbligate a dare accesso dei vostri dati al governo federale. Quindi il governo ha accesso completo a tutto quello che postate e può richiedere dati personali, inclusi numeri di telefono, indirizzi email ecc. […]
CIA e FBI e Pentagono controllano queste piattaforme tramite ricatti impliciti e anche espliciti: se critichi il governo americano avrai conseguenze. Julian Assange con il suo Wikileaks e Edward Snowden in esilio in Russia sono dei moniti per tutti. Alcuni account e conversazioni su Twitter sono oscurati con quello che in gergo si chiama shadowbanning. Questi account e queste conversazioni sono spesso se non quasi totalmente critici del ruolo americano nei conflitti nel mondo o critici dell’establishment. Quando gli apparati decidono di fare una campagna anti-russa o anti-siriana o anti-iraniana o anti-venezuelana Twitter e Facebook promuovono contenuti governativi e cancellano o limitano fruizione di quelli critici. Migliaia di bot appaiono nelle piattaforme con messaggi e con tempistiche pre-concordati che amplificano la propaganda governativa. […]
In pratica le democrazie moderne non possono esplicitamente avere un ministero della propaganda come facevano paesi autoritari del passato o come quelli moderni come Cina e Corea del Nord. Sarebbe inaccettabile agli occhi dei cittadini. Ma hanno bisogno di controllare l’opinione pubblica comunque e hanno fatto “outsourcing” della propaganda usando le compagnie della Silicon Valley. […]”
E come ha scritto Ron Paul, sono stati uno strumento dell’interventismo americano in tutto il mondo:
“Che si trattasse dei tentativi ancora in corso di promuovere un cambio di regime in Iran, del colpo di stato del 2009 in Honduras, del disastroso colpo di stato guidato dagli Stati Uniti in Ucraina, della “primavera araba”, della distruzione della Siria e della Libia e di molti altri casi ancora, le grandi aziende tecnologiche statunitensi sono state felici di collaborare con il Dipartimento di Stato e l’intelligence statunitense, per fornire gli strumenti per dare potere a coloro che gli Stati Uniti volevano prendessero il potere e silenziare coloro che non erano d’accordo. In breve, le élite del governo degli Stati Uniti hanno collaborato per anni con le “Big Tech” oltreoceano per decidere chi ha diritto di parlare e chi deve essere messo a tacere.”
Esiste insomma una collaborazione strutturale con gli apparati statali, più che con i governi, di questo o quel colore.
Ma ricordiamo anche che
Facebook vive sotto continua pressione delle minacce dei politici, tra audit ostili, ventilate azioni anti trust o interventi legislativi come l’abolizione della sezione 230, sostituta in modo bipartisan alle ultime elezioni.
Facebook è stato oggetto di campagne di stampa, da parte dei media di area dem, quindi una campagna politica, a favore delle censure, già da prima dei fatti del Campidoglio.
E Facebook gode di protezioni probabilmente dovute a considerazioni legate alla sicurezza nazionale, come nei casi degli interventi statali su Tik Tok e WeChat.
Ma naturalmente questo non vuol dire che sia Poste Italiane:
Ci sono aspetti importanti che rendono Facebook diverso da un mero apparato statale e fanno sì che continui ad essere una impresa privata.
Un’impresa privata è essenzialmente una comunità volontaria, là dove uno Stato è essenzialmente una “comunità involontaria”, fondata sull’integrazione forzata e l’imposizione autoritaria. Mi sembra innegabile che, in larga parte, Facebook continui ad essere una comunità volontaria: i suoi utenti, dipendenti, fornitori, soci, azionisti, inserzionisti, collaboratori, etc… sono tutti tali volontariamente. Dunque Facebook esiste sul consenso di chi vi partecipa in vari modi e ruoli. E se questo consenso venisse ritirato in misura importante andrebbe in crisi.
Il mercato è questo: una miriade di scelte individuali e di relazioni fra persone, durature o momentanee, stabili o precarie, formali o informali, attorno a scopi, desideri, bisogni, voglie, idee, speranze, obbiettivi, intuizioni, esigenze, progetti, etc.. che si influenzano a vicenda, che si fanno concorrenza, che a volte hanno successo e a volte no, ma che restano sempre pacifiche e volontarie.
Il fatto che io possa benissimo non iscrivermi a Facebook, non usarlo, non farci pubblicità, non andarci a lavorare, non possederne azioni, etc.. mentre al contrario non possa “non iscrivermi” allo Stato, non avvalermi più dei suoi servizi, smettere di pagare le tasse, rompere il “contratto sociale” ed essere svincolato dalle sue norme, per quanto in tanti modi i confini si siano confusi tra Stato e Big Tech, per me fa ancora tutta la differenza del mondo.
Oggi va di moda negare esista una differenza sostanziale tra Stato e grandi imprese, perché – si dice – c’è una distinzione “solo formale” tra l’essere esplicitamente obbligato e l’essere “implicitamente obbligato” dalle circostanze a fare qualcosa.
Ma accettare questo vuol dire sostenere che non ci sarebbe differenza tra l’essere obbligato in punta di pistola ad usare i servizi super scadenti di un carrozzone statale e il trovarsi in una situazione in cui l’impresa X ha avuto talmente successo e si è diffusa talmente tanto, che tutti la usano, tutti si aspettano che gli altri la usino, e non usarla diventa socialmente complicato.
Facebook non sta dove sta solo perché qualche politico e qualche burocrate ha deciso che ci serviva. Fosse dipeso da politici e burocrati non sarebbe mai esistito. Il suo successo è frutto del mercato: ha cambiato il mondo in modo straordinario ed è apprezzato da oltre due miliardi di utenti. Con tutti i suoi difetti, questo ce lo dobbiamo sempre ricordare. E ricordiamoci anche che per quanto Zuckerberg si possa essere arricchito, nel libero mercato la fetta maggiore delle ricchezze create da una impresa non va al proprietario, va a tutti gli altri intorno, consumatori in primis.
Facebook è un ibrido:
Alla luce di tutto questo, quello che si delinea è un contesto dove non si può rispondere semplicemente con un “sì” o con un “no” alla domanda “Facebook è un privato?”. Facebook è un po’ uno e un po’ l’altro, e quindi non si può riconoscergli o negargli in blocco tutte le prerogative che riconosciamo a un privato.
Non dobbiamo cadere della trappola di approfittare del fatto che viviamo in una situazione ibrida, per dare o negare la patente di privato, e i corrispettivi diritti, sulla base delle mere simpatie. Per cui se uno “censura” a sinistra, acceleratore su sacro diritto di discriminare, e se uno “censura” Trump, i conservatori o i libertari, acceleratore su non è un vero privato.
Se parliamo di soluzioni eccone alcune proposte da Peter G. Klein:
• Abrogare il CDA, il Digital Millennium Copyright Act (DMCA), il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), ecc.
• Applicare gli accordi contrattuali tra le piattaforme e gli utenti .
• Evitare ogni tentativo di regolamentazione della neutralità del punto di vista.
• Eliminare le barriere all’ingresso create dal governo per i nuovi operatori (vedi anche il n. 1).
• Non trattare le informazioni come proprietà (ad es. non agire come se gli utenti “posseggano” “i loro dati” e non costringere le piattaforme a rendere i dati “portatili”).
Articolo citati:
https://fabristol.wordpress.com/2021/01/09/le-compagnie-big-tech-sono-private/
http://www.ronpaulinstitute.org/archives/featured-articles/2021/january/11/the-war-on-terror-comes-home/
https://mises.org/wire/five-ways-improve-social-media-and-internet
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Autoritarismo, ricchezza e povertà, il disgusto per l’ipocrisia del sistema giudiziario, l’egoismo, la corruzione la menzogna sono solo alcuni degli argomenti che la fiaba del burattino di legno ha portato all’attenzione degli italiani e del mondo.
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